In giurisprudenza si distingue fra accidentale, colposo, doloso e premeditato nel giudicare un reato e la conseguente pena.
Se parliamo della responsabilità sui cambiamenti climatici delle grandi compagnie che estraggono e vendono combustibili fossili, fino a pochi anni fa il giudizio sul loro operato oscillava fra l’accidentale e il colposo.
Con un paio di secoli di estrazione dal sottosuolo dei loro prodotti, hanno certamente messo a rischio il benessere dell’umanità, se non addirittura il suo futuro. Ma in fondo pensavamo, con magnanimità, che fino a tutti gli anni ‘80 i dirigenti di quelle imprese erano all’oscuro delle conseguenze delle loro attività sul clima.
E anche quando sempre più scienziati hanno lanciato l’allarme, si sono aggrappati all’interpretazione negazionista di quei dati, sperando che risultasse corretta, in quanto la più adatta alla sopravvivenza dell’azienda che stavano guidando.
Ora che la scienza del clima ha dimostrato senza più dubbi che il cambiamento è in corso, che è potenzialmente catastrofico e che la responsabilità è principalmente dei combustibili fossili, una dopo l’altra quasi tutte le compagnie del comparto hanno cominciato un percorso, più o meno deciso e convinto, verso quella che viene chiamata “la neutralità climatica”: tanta CO2 produrranno e tanta ne compenseranno. Questa è la loro comunicazione.
Caso chiuso? Le società del carbone, gas e petrolio, erano all’oscuro della nocività di quelle fonti, come l’ultimo dei loro clienti? E ora che hanno saputo si possono battere il petto ed essere perdonate?
No, niente affatto! Più passano gli anni e più diventa chiaro che l’imputazione contro molte di loro debba passare da colposa a dolosa, se non addirittura premeditata.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a rivelazioni sconcertanti.
Già nel 1966, per esempio, si è scoperto che su una rivista dell’industria del carbone, era apparso un articolo che avvertiva sui rischi di immettere tutta quella CO2 nell’atmosfera. Avviso ovviamente ignorato.
Pochi anni dopo a scoprire i rischi climatici furono poi le due maggiori compagnie automobilistiche americane, GM e Ford, grazie a studi interni che le portarono a valutare se non fosse il caso di iniziare a progettare veicoli elettrici. Ma come sappiamo, fecero finta di nulla e continuarono con i modelli endotermici.
Infine, è saltato fuori che anche i ricercatori negazionisti che dagli anni ’90 in poi seminavano dubbi sulla scienza climatica, non lo facevano in buona fede, ma perché lautamente finanziati da quelli che avevano interesse a screditarla. Fra questi finanziatori spiccava la Exxon (Esso in Italia), la più importante multinazionale petrolifera statunitense.
Adesso la stessa Exxon finisce direttamente sul banco degli imputati, non tanto per aver finanziato qualcuno che facesse il lavoro sporco di negare l’innegabile a loro favore, ma per aver un fatto ancora più sconcertante, o se vogliamo ripugnante: aver nascosto la verità del cambiamento climatico causato dalla CO2, dopo averne determinato essa stessa il gravissimo pericolo che poneva, già dalla fine degli anni ’70.
Lo ha scoperto un gruppo di ricerca composto da due professori di storia della Harvard University, Geoffrey Supran e Naomi Oreskes, e dal climatologo Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania, dopo aver analizzato oltre cento pubblicazioni a uso interno di Exxon ed ExxonMobil tra il 1977 e il 2014, che riguardavano proprio l’aumento della temperatura globale causato dai gas serra.
Queste ricerche erano in realtà in parte già state rese pubbliche nel 2019, quando attivisti di InsideClimate News avevano ottenuto da un tribunale di visionare i documenti negli archivi della compagnia. Scoprirono che nel 1982 ricercatori Exxon avevano redatto un rapporto dove si affermava che, continuando a bruciare fonti fossili, al 2020 ci sarebbero state 420 parti per milione di CO2 in atmosfera, e un aumento della temperatura media globale di 1 °C rispetto al 1850.
Nell’anno 2023 siamo a 412 ppm di CO2 ed esattamente +1 °C.
“Non solo gli scienziati di Exxon furono accuratissimi, ma avvertirono anche la dirigenza dei pericoli che ciò comportava. Ma la risposta che ottennero fu la proibizione di divulgare le loro scoperte”, disse allora Peter Dockrill di InsideClimate News.
Oggi per la prima volta quelle e altre carte su questi argomenti sono state analizzate scientificamente da un climatologo che ha potuto valutare se quei dati previsionali fossero stati solo casuali oppure se, in effetti, il lavoro scientifico svolto all’interno della Exxon fosse stato abbastanza professionale e accurato da dover essere divulgato al mondo vista la sua fondamentale importanza per il futuro dell’umanità.
“Ciò che ho concluso è che ExxonMobil aveva stimato correttamente il riscaldamento globale: circa il 70% delle loro proiezioni climatiche erano precise, prevedendo che il riscaldamento globale causato dalle attività umane sarebbe stato rilevabile per la prima volta nel 2000; avevano ben calcolato quanta CO2 ancora l’atmosfera avrebbe potuto assorbire prima che si vedessero gli effetti sul clima e che la combustione dei fossili avrebbe riscaldato il pianeta di circa 0,2 gradi ogni decennio”, ha spiegato Rahmstorf in un interessante e lungo articolo pubblicato su Science.
“Un ottimo lavoro pionieristico, insomma, che se reso pubblico avrebbe fatto partire la transizione energetica già decenni fa, con rischi molto minori e a costi ridotti e molto più accettabili. Peccato che la dirigenza della compagnia appena ne è venuta a conoscenza, l’abbia subito insabbiato, proibendo a tutti di parlarne”, ha concluso il climatologo.
Insomma, mentre gli scienziati di Exxon sapevano tutto sugli effetti del rilascio della CO2 in aria già quasi 50 anni fa, dopo che l’allarme pubblico per il problema climatico fu lanciato nel 1988 dal climatologo James Hansen della Nasa con la famosa audizione al Senato americano, i dirigenti Exxon decisero di mettere a tacere i loro ricercatori e soprattutto si attivarono per convincere l’opinione pubblica che la scienza climatica era inaffidabile, finanziando chi divulgava le tesi negazioniste al solo scopo di proteggere gli interessi commerciali della compagnia.
Un comportamento da folli, da indifferenti a tutto se non al proprio interesse; atteggiamenti che quando li vediamo riprodotti nei comportamenti di un qualche supercattivo nei film di Hollywood, ci sembrano quasi irrealistici.
Ciò che in realtà è irrealistico è che nella finzione i cattivi psicopatici quasi sempre pagano per le loro colpe, mentre nella vita reale ciò non accade. Infatti, ormai molti dei dirigenti Exxon che si sono macchiati di questa infamia non sono più perseguibili.
C’è comunque chi ci prova ugualmente a trascinare la società in tribunale: una prima causa è già stata accettata nel maggio scorso da una Corte in Massachusetts. L’accusa mossa dalla procuratrice dello Stato, Maura Haley, alla Exxon è di aver scientemente mentito sui cambiamenti climatici ai consumatori e agli investitori, tenendoli all’oscuro delle conseguenze sul clima dei suoi prodotti.
Quanto determinato ora da Rahmstorf e colleghi aggiunge un bel carico da 90 sulla consistenza delle accuse, e magari, anche se con 50 anni di ritardo, un po’ di giustizia sarà fatta.
Ma esiste una punizione adeguata per aver diffuso bugie per 50 anni, mettendo a rischio addirittura l’esistenza stessa dell’umanità sul pianeta Terra?