Idee sulla crisi climatica: prima tagliare le emissioni, poi penseremo ai mali dell’umanità

Diminuire le emissioni è il primo imperativo per chi lotta contro i cambiamenti climatici. Pensare che la questione climatica sia risolvibile solo insieme a tutti gli altri grandi problemi dell'umanità è una megalomane presunzione.

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La storia delle idee sul cambiamento climatico è tutta da scrivere.

Sarà un rapporto intermedio di un processo dinamico in pieno atto. Il sapere scientifico è cambiato poco negli ultimi decenni, i fatti di base sono ormai noti da due secoli ed Exxon aveva già negli anni Settanta una buona idea sugli impatti del riscaldamento globale.

Chi voleva sapere, aveva già a disposizione tutti i fatti cinquanta anni fa.

Un’evoluzione profonda si è verificata invece nelle idee delle persone che a vari titoli si occupano del clima, su come interpretare e di conseguenza gestire il fenomeno.

Con una ingenuità oggi commovente, la prima generazione di fine anni Ottanta era convinta che il problema si potesse risolvere come quello del buco nell’ozono.

I paesi industrializzati avrebbero capito il problema, gli scienziati avrebbero proposto la soluzione, i governi avrebbero concordato e poi implementato un accordo simile a quello di Montréal sui clorofluorocarburi. Gioco fatto.

Le cose non sono andate così. Man mano, gli studiosi della trasformazione energetica, gli attivisti del clima, decisori nei vari ambiti e i cittadini, hanno capito che non si trattava di eliminare qualche gas nocivo per l’atmosfera dalle bombolette spray della lacca per cappelli o insetticida, ma si trattava di un profondo processo tecnologico, economico, sociale e culturale che accompagnava la trasformazione energetica.

La sfida di uscire dal fossile in tutto il mondo, a un alto livello di efficienza energetica, coinvolge le forme di produzione e di vita in tutte le sue articolazioni. “Salvare il clima” e ancora di più l’adattamento al caos climatico sono diventate anche questioni di giustizia climatica, di gender, di lotta contro l’imperialismo climatico.

Un numero crescente degli attivisti è convinto che la questione climatica è risolvibile solo insieme a tutti gli altri grandi problemi di disuguaglianza, sfruttamento e violenza che ci affliggono, oppure non si risolverà. Una visione lineare, radicale, senza compromessi. Eppure, sbagliata.

In una tale visione totalizzante, Greta Thunberg si sente legittimata a dichiararsi «a fianco di Gaza» come parte della lotta contro il riscaldamento globale.

La questione non è quanto sia giusta o sbagliata la sua posizione o quella di Fridays for Future sul conflitto nel Medio Oriente, l’errore fatale sta nella megalomane presunzione che chi parla del clima non può tacere sulle grandi ingiustizie del mondo che il caos climatico, ancora più nel Sud che nel Nord, sta aggravando.

Tale rigorismo etico fa sentire bene i suoi seguaci ma indebolisce la lotta all’emergenza climatica. È vero che i cambiamenti climatici colpiscono dapprima e più intensamente il Sud del mondo e i poveri nel Nord, ma è anche vero che gli impatti del riscaldamento globale, più prima che poi, mandano in fiamme anche le ville al Lake Tahoe in California.

Nella vita, avere ragione è il prezzo di consolazione. La realpolitik opportunistica è ripugnante e un gradualismo pragmatico non risolverà il problema.

Se è vero, come è vero, che il caos climatico è una minaccia esistenziale per tutta l’umanità, la priorità per gli attivisti del clima dovrebbe essere fare di tutto per la diminuzione delle emissioni di gas serra, senza illusioni messianiche di voler eliminare al contempo tutti i mali che affliggono questo mondo.

Un mondo ad emissioni zero sarà anche un mondo più giusto? Forse. La priorità per gli attivisti del clima rimane un forte impegno per il primo, per avere una chance di vedere come evolveranno le altre crisi.

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2024 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Prima le emissioni”

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