Per raggiungere gli obiettivi climatici sarà necessario utilizzare tecnologie per rimuovere la CO2 emessa in atmosfera.
Di questo sono convinti diversi scienziati, anche tra quelli che stanno lavorando al nuovo rapporto Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) sui cambiamenti climatici, di cui è uscita la prima parte lo scorso agosto.
Così la Commissione europea, riporta l’agenzia Euractiv, entro fine anno pubblicherà un documento sulla gestione sostenibile del ciclo del carbonio, il primo passo verso una proposta di legge, da presentare nel 2022, per uno schema di certificazione sui sistemi di carbon removal.
Questa proposta legislativa è inserita nella lettera di intenti appena pubblicata da Bruxelles.
Obiettivi e punti controversi
Perché bisognerà rimuovere anidride carbonica e in che modo si potrà fare?
Ricordiamo, innanzi tutto, che Bruxelles punta a ridurre del 55% le emissioni di CO2 al 2030 (rispetto ai livelli del 1990) e raggiungere la neutralità climatica nel 2050, azzerando le emissioni nette di anidride carbonica.
Questi sono i capisaldi della legge Ue per il clima, che si prefigge di sviluppare un sistema economico-energetico compatibile con gli accordi di Parigi: limitare a +1,5 °C il surriscaldamento globale, in confronto al periodo preindustriale.
La priorità è ridurre velocemente e drasticamente le emissioni antropogeniche di CO2; ricordiamo che il rapporto Ipcc ha stabilito che le influenze umane sui cambiamenti climatici sono inequivocabili. Tuttavia, spiegano gli scienziati, rimarranno delle emissioni residue da alcuni settori, come agricoltura, allevamenti e industrie, che andranno rimosse.
Inoltre, è probabile che si dovranno fare i conti con un overshoot, un superamento del limite di CO2 che potremo emettere in atmosfera.
Ecco perché si parla di emissioni negative: occorrerà togliere su vasta scala CO2 emessa in precedenza in atmosfera, stoccandola in depositi sotterranei, incorporandola in qualche materiale (ad esempio in alcuni materiali da costruzione) o facendola assorbire dai cosiddetti bacini naturali, come foreste e altri ecosistemi.
Uno schema di certificazione però è indispensabile, perché la rimozione della CO2 è un tema molto controverso.
Le associazioni ambientaliste, infatti, ritengono che spesso le soluzioni di carbon removal non siano efficaci, perché consentono a chi le applica di continuare a investire nei combustibili fossili.
In pratica, gli ambientalisti accusano le compagnie oil & gas di scommettere in modo esagerato sulla rimozione del carbonio, ad esempio con progetti di riforestazione, come palliativo per mantenere le loro attività nel petrolio e gas, anziché impegnarsi a ridurre direttamente le emissioni di gas-serra.
Secondo Peter Frank, direttore del think-tank tedesco Agora Energiewende, citato da Euractiv, evitare le emissioni deve essere al centro della politica Ue per il clima, quindi occorre definire una chiara gerarchia delle soluzioni e tecnologie volte a mitigare il cambiamento climatico, mettendo la rimozione della CO2 al fondo.
Tecnologie e problemi
Le tecnologie di carbon removal sono di diversi tipi: tra le più note è la CCS (Carbon Capture and Storage), che prevede di catturare la CO2 rilasciata dai siti industriali e immagazzinarla nel sottosuolo, ma finora ha avuto ben poco successo nel mondo, a causa dei costi elevati e della scarsa efficienza.
La CCS può essere applicata alle bioenergie: così diventa BECCS, Bioenergy with Carbon Capture and Storage.
Intanto nei giorni scorsi è entrato in funzione in Islanda il primo impianto DAC (Direct Air Capture), realizzato dalla società svizzera Climeworks.
Orca, questo il nome del nuovo impianto, succhia direttamente la CO2 presente in atmosfera e la stocca nel sottosuolo.
Orca è in grado di catturare fino a 4.000 tonnellate di anidride carbonica in un anno, equivalenti alle emissioni totali annuali di circa 790 automobili.
È davvero una goccia in un oceano, considerando che nel 2020 le emissioni complessive di CO2 hanno superato 31 miliardi di tonnellate (fonte Iea).
Senza dimenticare che rimuovere una singola tonnellata di CO2 con la DAC oggi costa moltissimo, tra 600-800 dollari secondo la stima riportata al Washington Post da Christoph Gebald, uno dei due fondatori di Climeworks, mentre bisognerebbe scendere a 100-150 dollari/ton per avere un profitto senza necessità di sussidi statali.
Insomma, la Commissione Ue si troverà davanti a una sfida complessa, quando elaborerà una politica sulla rimozione della CO2.
Difatti, afferma Euractiv, Bruxelles dovrà anche definire con chiarezza il concetto di permanenza della CO2 rimossa.
Ad esempio, se una foresta verrà distrutta da un incendio, non si potrà più tenere conto del suo contributo per gli assorbimenti di CO2 e si dovrà calcolare la quantità di anidride carbonica restituita in atmosfera. Lo stesso vale per la CO2 fissata in materiali da costruzione, come il legno, quando questi materiali finiranno in discarica o saranno bruciati, rilasciando nuovamente CO2.