L’influenza umana sull’aumento delle temperature del Pianeta è “inequivocabile”.
È il punto-chiave del nuovo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, formato dagli scienziati di 195 paesi, tra cui quelli italiani del Cnr-Isac e del Cmcc, rispettivamente l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima e il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.
“It is unequivocal that human influence has warmed the atmosphere, ocean and land”, si legge, infatti, all’inizio della sintesi del rapporto per i decisori politici.
Il documento è incentrato sulle basi fisiche-scientifiche del surriscaldamento globale e costituisce così la prima parte del Sesto rapporto di valutazione (AR6) dell’Ipcc, che sarà completato nel 2022.
Le nuove analisi scientifiche arrivano in un periodo cruciale: a novembre, infatti, a Glasgow ci sarà la ventiseiesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (CoP26), dove i governi di tutto il mondo dovranno stabilire impegni più ambiziosi per ridurre le emissioni di gas-serra in linea con l’obiettivo, previsto dagli accordi di Parigi, di limitare a +1,5 °C l’incremento delle temperatrure medie entro fine secolo, in confronto ai livelli preindustriali.
Intanto parecchi eventi estremi si sono già susseguiti nell’estate 2021, dal caldo record in Canada alle ondate di calore e agli incendi in Europa meridionale, passando per le alluvioni in Germania.
E con il riscaldamento globale, spiegano gli scienziati dell’Ipcc, aumenta la probabilità di eventi estremi di questo tipo, che diventano più frequenti e gravi.
Oltre alla inequivocabile responsabilità umana che sta alla base dei cambiamenti climatici (attraverso l’uso massiccio di energie fossili che emettono CO2), il rapporto chiarisce che tali cambiamenti sono diffusi, rapidi e si stanno intensificando. In particolare, l’aumento delle temperature superficiali è senza precedenti da oltre 2.000 anni, secondo le simulazioni climatiche di ultima generazione, basate sia su dati paleoclimatici sia su misurazioni dirette (per il periodo 1850-2020).
Finora, evidenzia il rapporto, le emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane sono responsabili di un riscaldamento di circa 1,1 °C rispetto al periodo 1850-1900.
Un altro punto-chiave del rapporto è che alcuni cambiamenti cui stiamo assistendo sono irreversibili per decenni, secoli o addirittura millenni, come lo scioglimento dei ghiacci polari, l’aumento del livello medio del mare e l’acidificazione degli oceani.
Tuttavia, ed è questo il messaggio più importante contro le teorie catastrofiste da “fine della civiltà”, altre conseguenze del surriscaldamento globale possono essere rallentate e altre ancora possono essere evitate.
In che modo? È necessario, afferma l’Ipcc, ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni di CO2, metano e altri gas serra su larga scala.
Quello che si deve fare è stato ribadito con forza dalla stessa Agenzia internazionale dell’energia (Iea) nel suo recente rapporto Net-zero 2050: bisogna azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro metà secolo e per riuscire in questa impresa occorre smettere di investire nei combustibili fossili.
Così l’Ipcc valuta una probabilità superiore al 50% che il grado e mezzo di riscaldamento sarà superato negli anni immediatamente successivi al 2030, in anticipo rispetto alle valutazioni pubblicate nel rapporto speciale dell’Ipcc nel 2018.
Gli scienziati poi precisano che, arrivando alle zero emissioni nette di CO2 nel 2050, è possibile che il global warming rimanga sotto la soglia di +1,5 °C.
Attenzione però a non farsi ingannare da quanto accaduto durante il lockdown, quando il blocco di molte attività economiche e dei trasporti ha comportato una forte diminuzione delle emissioni antropogeniche di CO2 (7% circa).
Difatti, spiega l’Ipcc, questo calo temporaneo della CO2 non è stato accompagnato da una riduzione della concentrazione cumulativa di CO2 nell’atmosfera e, di conseguenza, non c’è stato alcun apprezzabile effetto sulla temperatura del pianeta. A tal proposito si veda anche questa intervista a Luca Mercalli.
In altre parole: per contrastare il riscaldamento climatico è necessario ridurre le emissioni in modo costante nel tempo, fino a una completa decarbonizzazione del mix energetico su scala globale.
In pratica, bisogna arrivare a chiudere definitivamente i rubinetti che immettono CO2 in atmosfera (le centrali a carbone, le automobili con motori a combustione interna, il consumo di gas, e così via), sostituendoli con tecnologie pulite a zero emissioni.
Ricordiamo che dai dati della World Meteorological Organization dello scorso aprile, era emerso che le concentrazioni in atmosfera dei principali gas-serra hanno continuato a crescere nel 2020, nonostante il rallentamento economico mondiale dovuto alla crisi sanitaria e alle misure di lockdown contro il Covid-19.
In particolare, la concentrazione media globale di CO2 ha già superato 410 ppm (parti per milione di molecole in atmosfera) e se nel 2021 seguirà lo stesso andamento degli anni passati, potrebbe raggiungere o superare 414 ppm.
Al momento però la risposta dei governi è piuttosto lontana dal percorso raccomandato dagli scienziati.
Nel 2021 si è tornati a usare carburanti fossili in elevate quantità e nonostante il boom delle fonti rinnovabili è molto probabile che si assisterà a un ulteriore aumento delle emissioni.
Mentre i paesi del G20 non hanno ancora trovato un accordo sui punti decisivi per una lotta efficace contro il cambiamento climatico, come lo stop ai sussidi alle fonti fossili e una data di uscita dal carbone.
Resta da vedere, in definitiva, se, quando e come la politica saprà allinearsi, con misure opportune, alle evidenze scientifiche sui cambiamenti climatici.
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