Ccs: da 50 anni al servizio delle fossili, ma per il clima tutto fumo e niente arrosto

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Le conclusioni dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis sulle diverse applicazioni e concettualizzazioni della tecnologia per la cattura e il sequestro della CO2.

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La tecnologia per la cattura e il sequestro della CO2 (Ccs) è stata utilizzata per lo più per facilitare le estrazioni del petrolio e, con minore frequenza, nella lavorazione del gas naturale.

In entrambi i casi la cattura, l’utilizzo e il sequestro della CO2 (Ccus) servono al settore degli idrocarburi per migliorare la produzione di greggio e gas fossile, cioè attività con un impatto negativo diretto sulla crisi del clima.

Ricorrere, invece, alla cattura della CO2 come “marmitta” da applicare alle ciminiere delle centrali termoelettriche per prolungare la vita di tali impianti rappresenta un rilevante rischio finanziario e tecnico.

Queste, in sintesi, le conclusioni cui è giunto l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa) nel suo ultimo rapporto circa le diverse applicazioni e concettualizzazioni di questa tecnologia.

Una tecnologia che ha 50 anni

La cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica è una tecnologia inventata circa mezzo secolo fa.

Gli sviluppatori di tali progetti hanno quasi sempre riutilizzato la CO2 catturata per il cosiddetto “recupero migliorato del petrolio” o “enhanced oil recovery” (Eor), producendo quindi petrolio e gas a maggiori emissioni.

Negli ultimi anni, la carbon capture è stata riproposta in veste green come soluzione per il clima, soprattutto per attutire l’impatto climatico dei settori difficili da decarbonizzare.

A promuoverla come strumento indispensabile nella cassetta degli attrezzi della decarbonizzazione sono state anche istituzioni prestigiose come l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), nei suoi rapporti “Energy Technologies Perspectives” e “Net Zero by 2050”.

Tale autorevole avvallo ha innescato un acceso dibattito sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio: è più un’operazione di greenwash per prolungare la vita dei combustibili fossili o una panacea per scongiurare le conseguenze peggiori dei mutamenti climatici?

La Ieefa sembra avere pochi dubbi in merito: la Ccus serve per lo più a verniciare di verde attività e impianti che di sostenibile hanno ben poco.

Il rapporto fornisce, fra le altre cose, una panoramica di tutte le applicazioni di cattura del carbonio, come il trattamento del gas, la generazione di energia, le produzioni industriali e le tecnologie di rimozione del biossido di carbonio (Cdr).

I ricercatori hanno esaminato nel dettaglio 13 casi di studio (10 funzionanti, due falliti e uno sospeso) che rappresentano circa il 55% della capacità di cattura nominale totale nel mondo. A loro modo, ciascuno di questi progetti, rappresenta un “fiore all’occhiello” nel proprio comparto, fornendo quindi insegnamenti e spunti di riflessione significativi, hanno scritto i ricercatori.

“Il nostro campione è completo, sufficiente per trarre lezioni sull’intero settore. L’Ieefa stima che i casi studiati abbiano catturato più di due terzi di tutta l’anidride carbonica antropica sequestrata nella storia”, hanno detto.

Cosa è stato rilevato

Dalle 79 pagine del rapporto, consultabile dal link in fondo a questo articolo, emergono alcune conclusioni.

In breve, secondo i ricercatori, i progetti i cui risultati si sono rivelati fallimentari o insufficienti superano di gran lunga le esperienze di successo, riguardanti soprattutto la lavorazione del gas.

Esiste comunque un “elefante nella cristalleria” delle applicazioni di Ccs/Ccus per la lavorazione del gas: questo è il fatto che le cosiddette emissioni di Scope 3, cioè quelle indirette, generate a monte o a valle nell’ambito della filiera di un’azienda, non sono ancora contabilizzate, relativamente alla cattura e all’utilizzo del carbonio.

“È evidente che la Ccus nel settore non riguarda la riduzione delle emissioni di Scope 3 nell’utilizzo finale totale del gas. Si mira piuttosto a ridurre al minimo le emissioni dirette di Scope 1, legate cioè alla produzione propria di gas con un contenuto eccessivo di CO2. Ciò è in contrasto con la maggior parte delle altre applicazioni Ccus nel settore industriale e dell’energia, che mirano invece a ridurre al minimo le emissioni derivanti dal consumo finale di combustibili fossili, sia attraverso la combustione che come materie prime”, hanno spiegato i ricercatori.

Il resto, cioè la grande maggioranza del carbonio catturato, è stato utilizzato principalmente per il miglioramento del recupero del petrolio, che non può essere considerata una soluzione per il clima.

I rischi finanziari e tecnici

Le evidenze indicano poi che la cattura del carbonio per prolungare la vita delle centrali termoelettriche pone rischi finanziari e tecnici significativi.

La Ccs/Ccus per il settore elettrico è più costosa e complessa rispetto ad altre applicazioni a causa di una presenza più diluita della CO2 nei gas di scarico.

A differenza della lavorazione del gas naturale e di alcuni processi industriali che potrebbero generare gas di scarico con una concentrazione di CO2 del 40-90%, le centrali a carbone emettono gas di scarico che in genere contengono “solo” il 10-14% di CO2, mentre le centrali a gas “solo” il 4-5% di CO2.

Tali concentrazioni sono molto piccole ai fini di un’agevole cattura del carbonio, ma sono comunque grandi in termini di volume assoluto delle emissioni a livello globale.

Poiché la cattura della CO2 consuma molta energia, ne consumerà in proporzione ancora di più per intercettare basse concentrazioni di tale gas, aumentando la quantità di elettricità dedicata alla Ccs e diminuendo quella disponibile agli altri consumatori.

Ciò implica che si dovranno bruciare più combustibili fossili per generare la stessa quantità di elettricità di una centrale elettrica non-Ccs, o che si dovrà distogliere energia rinnovabile dagli altri usi per dedicarla al maggiore consumo elettrico che questo tipo di applicazione di Ccs richiede, secondo i ricercatori.

In un mercato competitivo dell’elettricità, l’alto costo della Ccs/Ccus dovrà essere compensato dalla vendita della CO2 catturata, da incentivi governativi o facendo pagare un prezzo ai consumatori. Tuttavia, questi percorsi non sono garantiti e potrebbero anche portare a instabilità finanziaria del progetto o aumentare le esternalità ambientali, soprattutto nel caso di utilizzo della CO2 per il recupero del greggio.

Gli incentivi governativi dovrebbero piuttosto essere indirizzati verso le tecnologie rinnovabili, hanno detto i ricercatori, sottolineando che, oltre ad avere basi finanziarie traballanti, la cattura del carbonio ha vissuto una serie di fallimenti anche tecnici dal 2000.

Quasi il 90% dei progetti di Ccs nel settore energetico è infatti naufragato nella fase di implementazione tecnica o è stata sospeso anticipatamente. Solo alcune applicazioni della Ccs in industrie in cui le emissioni sono difficili da abbattere, come il cemento, potrebbero essere studiate come soluzione parziale o provvisoria, dopo un attento esame, hanno concluso.

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