Saranno i petrolieri a diventare i principali investitori nel fotovoltaico a livello mondiale?
La tendenza sembra proprio questa e per rendersene conto basta guardare a un riepilogo di alcune tra le principali operazioni pubblicato da GTMResearch.
Il primo nome che si legge nell’analisi è quello di Total: il colosso francese, infatti, possedeva già 1,6 GW di fotovoltaico prima di annunciare, a gennaio, la realizzazione di un mega-impianto FV da 800 MW in Qatar (in collaborazione con Marubeni) e poi a febbraio lo sviluppo di circa 2 GW di nuovi impianti solari in Spagna, attraverso gli accordi siglati con Powertis e Solarbay.
Ricordiamo poi che Total, tramite la società controllata Saft, intende creare una joint-venture con il gruppo automobilistico PSA per produrre celle e moduli per le batterie dei veicoli elettrici; l’operazione ha appena ricevuto il via libera dalla Commissione europea.
Così Total, si spiega, punta a diventare una delle maggiori compagnie che investono in fotovoltaico su scala globale, e anche una delle compagnie con progetti FV nel maggior numero di paesi, una quindicina in tutto finora.
D’altronde, Total punta a ricavare fino al 20% dei suoi profitti da attività a basso impatto ambientale entro il 2040 e il solare è destinato a essere al centro di tale strategia.
E poi il mercato mondiale del fotovoltaico è molto frammentato; alla fine del 2018, ad esempio, il principale gestore di impianti FV fuori della Cina era NextEra Energy con circa 4,5 GW di fotovoltaico sotto il suo controllo.
Altre società petrolifere stanno investendo nelle rinnovabili in generale e nel solare in particolare.
BP punta molto sul fotovoltaico grazie alla partecipazione nella società Lightsource BP, che ha l’obiettivo di arrivare a 10 GW di progetti FV nel 2023 in varie parti del mondo.
Ricordiamo che il colosso petrolifero inglese ha appena annunciato una nuova strategia industriale che dovrebbe portare BP ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 “o anche prima”, anche se mancano i dettagli operativi e restano dei dubbi da chiarire sul tipo e sul numero delle attività coinvolte nell’azzeramento delle emissioni.
Nell’analisi di GTM Research si cita anche Shell; quest’ultima è impegnata anche sul fronte dell’accumulo energetico, grazie all’acquisizione di due società specializzate nella produzione di batterie per le utenze domestiche (la tedesca sonnen) e nella gestione di aggregati di batterie per fare accumulo distribuito (l’inglese Limejump).
E sarà proprio Limejump a gestire quella che sarà la più grande batteria al litio in Europa al servizio della rete, un’installazione da 100 MW/100 MWh che vedrà la luce nel 2020 in Gran Bretagna.
Tra le altre aziende petrolifere che stanno ampliando i loro portafogli solari c’è anche la controllata pubblica italiana Eni, grazie ad esempio alla recente acquisizione di Evolvere che consente al cane a sei zampe di prendere la gestione di circa 11.000 impianti fotovoltaici per complessivi 58 MW, senza dimenticare i progetti esteri (qui un esempio in Kazakistan), oltre al “Progetto Italia” che punta a 220 MW di fotovoltaico entro il 2022.
Mentre Shell e la norvegese Equinor sono tra le società fossili più attive negli investimenti nell’eolico sulla terraferma e soprattutto offshore, con decine di GW in cantiere nei prossimi anni.
Anche nell’eolico aiuta la relativa frammentazione del mercato, dove solo il 20% circa della potenza complessivamente installata in questa fonte rinnovabile appartiene alle prime dieci società che gestiscono asset eolici.
In conclusione, però, vale sempre il principio di cautela con cui valutare queste mosse “verdi” dei petrolieri: ben vengano gli investimenti in rinnovabili, che però al momento sono solo una piccola parte degli investimenti complessivi di Big Oil quindi il rischio di fare greenwashing è sempre in agguato, come abbiamo evidenziato in più occasioni parlando ad esempio di Eni e Shell.