“Big Oil è in malafede sul clima”: un altro grande fondo pubblico scappa dal petrolio

È il turno del fondo danese MP Pension: venderà le sue quote di partecipazione nelle prime dieci società mondiali che puntano sulle fonti fossili.

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Al fondo pensionistico danese MP Pension – che gestisce circa 20 miliardi di dollari – non piace proprio il greenwashing delle grandi compagnie petrolifere globali, quelle che in pubblico affermano di supportare gli accordi di Parigi sul clima ma poi continuano a investire cifre stellari per espandere la produzione di carburanti fossili.

Così il fondo ha deciso di vendere le sue partecipazioni nelle prime dieci società del settore, con un disinvestimento complessivo di circa 95 milioni di dollari come riporta Bloomberg (qui invece la nota in danese di MP Pension).

In sostanza, MP Pension finirà per cedere tutte le sue quote in ExxonMobil, BP, Chevron, PetroChina, Rosneft, Shell, Sinopec, Total, Petrobras, Equinor.

Il motivo? La malafede di queste compagnie, che – riporta Bloomberg citando la nota del fondo danese – “continuano a opporsi a normative climatiche più rigorose, nonostante il loro pubblico sostegno all’accordo di Parigi”.

Solamente quattro società europee – BP, Shell, Total, Equinor – evidenzia il responsabile degli investimenti di MP Pension, Anders Schelde, hanno mostrato qualche segno verso la transizione energetica “pulita”, non abbastanza però da convincere il fondo a mantenere gli investimenti nelle loro attività.

E le altre aziende finora si sono comportate ancora peggio, perché le rispettive strategie industriali sono del tutto incompatibili con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti e combattere il cambiamento climatico su scala mondiale.

In pratica, nessuna delle prime dieci multinazionali “Big Oil” sta costruendo un modello di crescita economica allineata ai traguardi ambientali, come quello di costruire una società con un impatto neutrale in termini di emissioni di CO2 entro la fine di questo secolo.

E il fondo danese entro il 2020 valuterà circa mille compagnie fossili per decidere se conservare o no le loro quote in portafoglio.

Queste decisioni, chiarisce la nota, sono basate soprattutto sui dati di Carbon Tracker e InfluenceMap, due organizzazioni citate diverse volte da QualEnergia.it per raccontare l’evoluzione del disinvestimento globale (banche, fondi sovrani, assicurazioni) dalle fonti fossili e in particolare dal carbone oltre al modo in cui diverse società fanno disinformazione sul clima e pressioni lobbistiche sui governi, allo scopo di bloccare l’adozione di norme ambientali più severe.

Qualche crepa nella lobby del petrolio c’è, ma per ora rimane poco più che una sottile venatura.

Ad aprile avevamo segnalato la decisione di Shell di abbandonare un’associazione americana del settore petrolchimico a causa di un sostanziale “disallineamento” delle rispettive posizioni sui cambiamenti climatici; decisione che sembrava fondarsi sulla volontà di migliorare la chiarezza e trasparenza delle informazioni finanziarie divulgate sulle sue iniziative industriali.

E quindi avevamo citato alcuni investimenti “verdi” di Shell, come quello nel colosso tedesco delle batterie per il mercato residenziale, sonnen, oltre a ricordare gli impegni presi sulla carta dalla multinazionale per promuovere le fonti rinnovabili e la diffusione di carburanti alternativi.

Ma proprio InfluenceMap rimarcava che Shell fa parte di quel gruppo di aziende Oil&Gas, con ExxonMobil, Chevron, BP e Total, che negli ultimi tre anni ha speso complessivamente oltre un miliardo di dollari per diffondere notizie false e fuorvianti sul clima, direttamente o tramite associazioni “amiche”.

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