Il cambiamento climatico ci costerà 38mila miliardi di dollari l’anno entro metà secolo

Danni sei volte più costosi delle misure per frenare il riscaldamento, mostra uno studio del Potsdam Institute for Climate Impact Research pubblicato su Nature. Indipendentemente dalle scelte che faremo, entro il 2050 il climate change ridurrà del 19% il Pil globale.

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L’impatto economico del cambiamento climatico non è comprensibile in maniera pienamente esaustiva e gli analisti spesso non sono d’accordo sulla sua portata. Quello su cui tutti concordano però è che la prevenzione sarà meno costosa della cura.

E lo sarà in una proporzione di poco più di uno a sei, secondo uno studio comparso il 17 aprile su Nature intitolato “The economic commitment of climate change” (link in basso) e condotto dal Potsdam Institute for Climate Impact Research, con il sostegno del governo tedesco.

Stando ai calcoli dei ricercatori, che hanno analizzato i dati su come il cambiamento climatico ha influenzato l’economia in più di 1.600 regioni in tutto il mondo negli ultimi 40 anni, i danni provocati all’agricoltura, alle infrastrutture, alla produttività e alla salute umana costeranno circa 38mila miliardi di dollari annui nel 2049 (con un range probabile compreso tra 19 trilioni e 59 trilioni di dollari), contro i circa 6mila miliardi che servirebbero per limitare il riscaldamento globale entro i 2 °C rispetto alle temperature preindustriali, come sancito dall’Accordo di Parigi del 2015.

La stima del Potsdam Institute si basa sulle previsioni circa l’andamento della temperatura e delle precipitazioni, ma non tiene conto di altri disastri legati al clima come gli incendi boschivi o l’innalzamento del livello del mare. Inoltre si basa solo sulle emissioni già rilasciate, ma – come è noto – il fenomeno è in continuo aumento.

A questi ritmi, il cambiamento climatico ridurrà del 19% il Pil globale entro la metà del secolo, indipendentemente dalle future scelte dei governi. In uno scenario calcolato dai ricercatori in cui la temperatura media globale salirà oltra i 4 °C il costo economico stimato dopo il 2050 ammonterebbe a una perdita di reddito pro capite del 60% entro il 2100. Limitare l’aumento delle temperature a 2 °C conterrebbe questo dato al 20%.

Tutte le regioni saranno colpite, ma le parti del mondo meno responsabili del cambiamento climatico come l’Africa e l’Asia meridionale vedranno gli impatti maggiori.

“Nei nostri modelli troviamo danni quasi ovunque, ma i Paesi dei Tropici saranno quelli che soffriranno di più perché sono già più caldi”, afferma Anders Levermann, autore principale dello studio. Chi storicamente ha avuto meno responsabilità nel causare il cambiamento climatico – rileva l’analisi – è oggi anche meno pronto, in termini di risorse economiche, a fronteggiarne i danni. La mappa in basso mostra le stime della riduzione media prevista del reddito pro capite: il sud del mondo è particolarmente penalizzato.

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Questi Paesi sostengono da tempo che le nazioni ricche come gli Stati Uniti e l’Europa occidentale – che hanno già raccolto i benefici economici dello sfruttamento massiccio dei combustibili fossili – dovrebbero pagare per coprire le perdite che i più poveri devono affrontare.

È molto probabile che, dopo l’istituzione del Fondo loss&damage avvenuta durante la COP28 di novembre a Dubai, nuovi finanziamenti per il clima verranno discussi nel corso della COP29 di Baku.

Lo studio fa comunque notare che la crisi climatica danneggerà anche i Paesi altamente sviluppati: ad esempio gli abitanti di Germania e Stati Uniti vedranno una riduzione media del reddito dell’11%, in Francia del 13%. Secondo gli analisti i Paesi più poveri subiranno comunque una perdita di reddito maggiore del 61% rispetto a quelli più ricchi.

I grafici in basso mostrano le stime della riduzione prevista del reddito pro capite in diverse aree del mondo in uno scenario a basse emissioni compatibile con l’obiettivo di contenimento della temperatura entro 2 °C e uno scenario ad alte emissioni, rispettivamente in viola e arancione. L’ombreggiatura rappresenta gli intervalli di sicurezza dei dati. L’Africa e il Sud dell’Asia sono particolarmente a rischio, mentre l’Asia Centrale e la Russia si muovono in una condizione quasi di stabilità.

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L’aumento delle temperature inciderà anche sull’inflazione media, e con tempistiche più strette. Gli stessi ricercatori del Potsdam Institute, insieme a quelli della Banca centrale europea, in uno studio pubblicato a marzo sulla rivista Communications Earth & Environment hanno stimato che l’inflazione potrebbe aumentare fino a 1,2 punti percentuali ogni anno da qui al 2035. In particolare il costo del cibo potrebbe aumentare fino a 3,2 punti percentuali annui.

I ricercatori hanno preso l’Europa come caso di studio per vedere come le temperature hanno influenzato storicamente i prezzi nel nostro Continente. Hanno scoperto che il caldo estremo dell’estate del 2022 ha fatto aumentare l’inflazione complessiva in Europa dello 0,34% e l’inflazione alimentare dello 0,67%. I modelli proiettano un’inflazione guidata dalla temperatura per tutto l’anno nelle regioni a bassa latitudine, mentre alle latitudini più elevate i cambiamenti peggiori saranno soltanto stagionali, legati principalmente all’arrivo dell’estate.

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