Biocarburanti, è la fine di un boom?

Nel 2011 si è prodotto meno biofuel rispetto all'anno precedente. E' la prima volta che ciò accade dopo 10 anni di crescita. La produzione di biocarburanti risente dell'aumento del prezzo delle materie prime, che essa stessa ha causato. La IEA prevede che la crescita continuerà ma sarà più che dimezzata rispetto ai 5 anni precedenti.

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Una battuta d’arresto senza precedenti per la crescita dei biocarburanti: nel 2011 per la prima volta si è prodotto meno biofuel rispetto all’anno precedente. Lo mostrano chiaramente i dati dell’ultimo Oil Market Report dell’ International Energy Agency (vedi tabella sotto e report allegato, biocarburanti a pagina 30). La stima della produzione nell’anno appena concluso è scesa, arrivando a 1.819 migliaia di barili al giorno, contro i 1.822 migliaia del 2010.

E’ la prima volta che questo accade dopo 10 anni di espansione ininterrotta e anche le ultime prospettive di crescita dipinte dalla IEA sono ridimensionate (vedi secondo grafico). Secondo l’Agenzia la produzione mondiale dal 2011 al 2015 crescerà di 0,4 milioni di barili al giorno, mentre dal 2006 al 2010 era aumentata di 1 milione di barili al giorno.

Diverse le cause. In Brasile, secondo produttore mondiale, la produzione è stata influenzata da un raccolto magro di canna da zucchero e un prezzo dello zucchero piuttosto elevato. Negli Usa, maggior produttore mondiale, il mercato è saturo e dal 1 gennaio 2012 sono anche stati eliminati gli sgravi fiscali che da 30 anni supportavano il settore. In Europa l’industria deve fare i conti con gli alti prezzi delle materie prime e la concorrenza estera: nel 2011 produzione in calo sia in Italia che in Spagna. La Cina ha ridimensionato i suoi progetti nel settore per timore dell’impatto che avrebbero sul prezzo dei generi alimentari.

“I biocarburanti sono vittime del loro stesso successo”, è la lettura che danno alcuni (come Damian Carrington sul Guardian). La ragione principale della battuta d’arresto infatti è la crescita di prezzo delle materie prime, che servono anche a scopo alimentare. E l’impennata del prezzo di cereali, zucchero e olii vegetali a sua volta è dovuta alla crescita della produzione di biocarburanti: ad esempio negli Usa il 40% del mais finisce nei serbatoi e la correlazione tra fame nel mondo e biofuel è stata denunciata da tempo dalle fonti più autorevoli (Qualenergia.it, Biocarburanti tra fame e ambiente).

Su queste pagine abbiamo raccontato spesso il lato oscuro dei biocarburanti: oltre all’impatto sui prezzi delle derrate alimentari, hanno spesso pesanti impatti ambientali e socioeconomici e a volte bilanci controproducenti in termini di emissioni di gas serra (Qualenergia.it, L’effetto boomerang dell’obiettivo biocarburanti). Dunque la frenata è una buona notizia?

Sicuramente darà un sollievo sul fronte del prezzo delle derrate alimentari. Ma avrà anche un ovvio impatto sul mondo del petrolio: la quantità di biofuel sul mercato è paragonabile alla produzione di petrolio di giganti come la Norvegia e la Nigeria (quindicesimo e sedicesimo produttore mondiale) e con meno biocarburanti se ne consumerà più.

Ad ogni modo sia chiaro che, anche se rallentata, la crescita dei biocarburanti continuerà: a spingerla sarà l’aumento del prezzo del petrolio. I biocarburanti attualmente sono competitivi con un prezzo del barile sopra i 70 dollari e sul lungo periodo il prezzo del petrolio non può che aumentare.

Non ci resta che sperare che il rallentamento nella crescita dei biocarburanti convenzionali dia il tempo di commercializzare su larga scala alternative più sostenibili, come i biofuel di seconda generazione, che non sono in competizione con le colture alimentari. La previsione che ci aveva fatto Vito Pignatelli dell’Enea qualche mese fa era che entro il 2020 questa tipologia potesse arrivare a coprire il 10% del totale dei biocarburanti e proprio nel nostro paese stanno partendo interessanti iniziative industriali a riguardo (Qualenergia.it, Biocarburanti del futuro? Potrebbero partire dall’Italia).

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