Biodiesel: la maggior parte di quello usato in Italia non è green

La denuncia di Legambiente. Intanto il ministro Pichetto Fratin partecipa all'inaugurazione di una bioraffineria a Novara e continua a promuovere l'uso di biocarburanti.

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Mentre il governo italiano continua a promuovere l’uso di biocarburanti per i trasporti “sostenibili”, Legambiente denuncia che molti di questi combustibili non sono affatto green.

Lo fa in un documento intitolato “Biocarburanti, falsi rinnovabili”, dove spiega che oltre l’80% del biodiesel immesso sul mercato italiano deriva da biomasse coltivate di importazione a rischio deforestazione (olio di palma e derivati), come il caso esemplare dell’Eni diesel+ che era stato multato per pubblicità ingannevole nel 2020.

Altri biocarburanti, invece, usano presunti “Uco” (used cooking oil, cioè oli vegetali usati) di origine cinese, oppure grassi animali di classificazione incerta e fraudolenta.

Tra l’altro, precisa Legambiente, le più recenti analisi di settore dimostrano che molti biocarburanti emettono fino al doppio o al triplo di CO2 rispetto al gasolio fossile, considerando l’intero ciclo di vita, dalla produzione all’utilizzo finale.

Tanto che Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha scritto al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiedendo di aprire un’inchiesta governativa sulle “false rinnovabili” incentivate nei trasporti italiani.

Proprio ieri, giovedì 29 giugno, Pichetto Fratin ha partecipato all’inaugurazione di una bioraffineria a Trecate (Novara).

L’impianto della Sarpom, società partecipata da Esso e Ip, produrrà biocarburante da biomasse di seconda generazione. Il processo produttivo, spiega una nota, prevede il riutilizzo di diversi tipi di biomasse residuali ed è stato avviato utilizzando il Pome, acronimo per “Palm Oil Mill Effluent”.

È una materia di scarto dalla produzione di olio di palma, che la normativa europea riconosce tra quelle di seconda generazione.

Prima di essere impiegata in raffineria, questa sostanza oleosa residuale viene purificata, riducendone l’acidità e il contenuto di metalli e di composti solidi, presso un impianto di trattamento chimico/fisico.

Secondo Pichetto, l’inaugurazione della bioraffineria “è un momento importante, perché è l’avvio di una produzione di biocarburanti che possono essere utilizzati nei motori endotermici, ma che hanno un livello di emissione bassissimo. Dopo aver dimostrato al G7 in Giappone l’importanza di questo tipo di produzione, dobbiamo andare avanti per farla prendere in considerazione all’Unione Europea”.

Ricordiamo che nell’ambito del regolamento Ue sulle auto al 2035, che impone l’azzeramento delle emissioni di CO2, l’Italia ha cercato di “salvare” i motori endotermici chiedendo a Bruxelles di inserire una norma per i biocarburanti.

Ciò in nome della “neutralità tecnologica” contro la politica del tutto elettrico che il nostro governo non ha mai digerito, temendo che l’industria automotive nazionale possa perdere competitività e posti di lavoro.

Ma lo stesso Pome, si legge ancora nel documento di Legambiente, viene “estratto dai mulini di olio di palma e importato dall’Indonesia, spesso indistinguibile e miscelato nel trasporto con olio di palma grezzo”. 

Per questa biomassa “non è prevista alcuna tracciabilità: il rischio che l’olio di palma grezzo possa essere miscelato o declassato come prodotto da Pome è elevato”.

In sostanza, conclude poi Ciafani, ci sono biocarburanti “che possono contribuire davvero alla decarbonizzazione dei trasporti, come gli oli di cucina riciclati in Italia e in Europa, il biometano da scarti e rifiuti organici, bioetanolo da scarti cellulosici”.

Bisogna anche investire “con determinazione nella ricerca e nella sperimentazione di carburanti da carbonio da riciclo chimico o idrogeno verde”.

Tuttavia, “tutte queste risorse sono limitate” e perciò “biocarburanti e carburanti sintetici dovranno essere scelti attentamente” e usati nei mezzi di trasporto più difficili da elettrificare, come le grandi navi e gli aerei.

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