A quando la fine del carbone a buon mercato?

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Presto il carbone potrebbe non essere più disponibile a basso costo, a causa dei consumi elevati della Cina e per l’esaurimento dei giacimenti più accessibili. E' in atto la tendenza a ridimensionare le riserve provate. Un'attenta analisi di questi dati sarà fondamentale per pianificare meglio il nostro futuro mix energetico.

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L’era del carbone a buon mercato potrebbe essere al termine. Con le dovute differenze, la storia del petrolio degli ultimi quindici anni si potrebbe riproporre anche nel settore carboniero. Nel 1998 il mondo dell’energia fu scosso dalla pubblicazione dell’articolo di Campbell e Laherrere, The end of cheap oil in cui si prevedeva la fine del lungo periodo caratterizzato dal prezzo basso del greggio. Delle polemiche che seguirono, alimentate come spesso accade in questo ambito dalla tendenza alla polarizzazione delle opinioni in fazioni contrapposte, tipicamente catastrofisti a sostegno di un declino economico e industriale incombente contro negazionisti indifferenti alle più chiare evidenze, ha fatto giustizia il corso limpido degli eventi.


Da allora, rispetto ai valori correnti e anche alle più autorevoli proiezioni al 2010 (Annual Energy Outlook 1998, DOE/EIA), il prezzo del petrolio è notevolmente e progressivamente aumentato ed oggi ha raggiunto gli oltre 90 $. Questa evoluzione è stata assolutamente coerente con la teoria del picco di Hubbert, che prevede un andamento temporale dello sfruttamento delle risorse secondo cui in prossimità del picco storico di produzione diventano accessibili riserve precedentemente considerate marginali per gli alti costi (giacimenti offshore, sabbie bituminose, ecc.), anche se, va detto, il prezzo non è l’unico parametro per capire se siamo nella fase del picco di una risorsa.


In una recente analisi (The end of cheap coal, Nature, 468, 2010, pp. 367-9), R. Heinberg e D. Friedly, del Post-carbon Institute di Santa Rosa (California), hanno previsto qualcosa di molto simile per il carbone, muovendo anche in questo caso da ragioni oggettive che riguardano la disponibilità e la qualità della risorsa e la sua domanda tendenziale. In primo luogo, la quantità di carbone di facile accessibilità (estraibile a basso costo) sembra essere molto inferiore a quanto generalmente ritenuto, in particolare dai centri studi del settore carboniero. Prevale in questi ultimi anni infatti la tendenza a ridimensionare le riserve provate alla luce di restrizioni tecniche svelate da più dettagliate indagini geologiche (sulla localizzazione, la profondità, lo spessore e la qualità dei giacimenti).


Molti Paesi produttori hanno agito in questa direzione, contrariamente a quanto assunto in linea di principio – le riserve provate recuperabili, quelle economicamente e tecnicamente estraibili in un dato momento, dovrebbero aumentare con il miglioramento delle tecnologie e l’aumento del prezzo di una risorsa. Germania e Sud Africa, per esempio, hanno ridotto di più di un terzo le loro riserve dal 2003 al 2008, adattando alle sole condizioni tecnico-economiche di estrazione una prassi che nella storia secolare del carbone altri grandi Paesi industriali hanno già proposto, seppure con l’analisi congiunta degli aspetti di consumo della risorsa.


Il primo rapporto britannico sul carbone, effettuato nel 19° secolo, assumeva di possederne per soddisfare 900 anni di fabbisogno nazionale quando oggi la stessa valutazione non va oltre i 12 anni; analogamente, gli USA sono passati dallo stimare la copertura del fabbisogno di carbone in 5000 anni (inizi del 20° sec.), per poi scendere a 400 anni (1974) e arrivare ai 240 attuali. E’ d’uso comune nell’industria dell’energia segnalare in modo semplificato ma sintetico le prospettive di una risorsa attraverso il rapporto riserve/produzione (R/P). Il parametro R/P è condizionato da fattori geologici, tecnologici riguardo la fase estrattiva e di mercato, e per il carbone conferma la tendenza globale alla diminuzione della disponibilità. Nella fattispecie, secondo i dati più aggiornati, anche se di gran lunga superiore a quello delle altre fonti fossili, il rapporto mondiale medio R/P del carbone dal 2000 al 2010 si è ridotto da 210 a 118 anni (BP statistical review of world energy 2011).


Gli andamenti e le previsioni dei consumi di carbone su scala globale costituiscono il secondo pilastro della tesi sulla fine del carbone economico. La domanda di questa fonte fossile è in rapida crescita, guidata dai consumi cinesi che nonostante la crisi economica in corso sono previsti ancora in aumento (1,7 mld di t nel 2010 con +10% annuale, pari al 48% dei consumi mondiali). La Cina, maggiore consumatore e produttore in assoluto di carbone, nei rapporti del proprio Ministero del territorio e delle risorse dichiara riserve strategiche per il fabbisogno di circa 60 anni. Tuttavia da più parti in ambito specialistico si sollevano molti dubbi sulla qualità economica di tali riserve, buona parte delle quali sarebbe costituita da giacimenti complicati dal punto di vista geologico e minerario (profondità anche superiori ai 1000 m).


Applicando a queste condizioni l’analisi di Hubbert si ottengono in realtà indicazioni molto più allarmanti sulla stabilità degli approvvigionamenti, in quanto si deduce che la produzione di carbone cinese possa raggiungere il picco negli anni tra il 2015 e il 2032, secondo valutazioni più o meno ottimistiche (Tao, Z. & Li, M. Energy Pol. 35, 3145–3154, 2007; Zittel, W. & Schindler, J. Energy Watch Group, Paper No. 1/07, 2007), per poi declinare significativamente con effetti rilevanti sui flussi internazionali e sul prezzo della risorsa (Qualenergia.it, Carbone al picco). Infatti, la dipendenza molto alta del sistema industriale cinese dal carbone ne causerebbe necessariamente un notevole aumento delle importazioni e conseguenti impennate di prezzo.


Considerare il carbone una risorsa disponibile indefinitamente e a basso costo, come generalmente si tende a fare in ambito politico e industriale, costituisce un rischio per la pianificazione di un mix delle fonti energetiche futuro che si voglia equilibrato e sostenibile. Previsioni di investimento in tecnologie clean coal e CCS (Carbon Capture and Storage) viziate da un simile pregiudizio possono stornare artificiosamente enormi capitali da impieghi più efficienti dal punto di vista economico e ambientale, come per esempio nelle infrastrutture necessarie per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.


Photo Credit: channel packet

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