Clima, perché il freno di Trump può essere fatale

Le decisioni di Donald Trump su clima ed energia saranno un freno al percorso, già insufficiente, avviato a Parigi. Siamo in corsa contro il tempo per evitare che la temperatura globale raggiunga i due gradi. E ogni ritardo ormai potrebbe rivelarsi decisivo. Il possibile rischio dal settore automobilistico statunitense.

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“Non diversamente da quelle individuali, le rimozioni collettive di prospettive sgradite ci fanno trovare impreparati, quando l’averle esorcizzate non impedisce che si avverino. Per questo mi preoccupa che non si discuta di cosa accadrebbe al post-COP21, se Trump diventasse il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti”.

Questo, proprio un anno fa, l’incipit di un mio  intervento su QualEnergia.it, che si concludeva sottolineando “l’urgenza di una mobilitazione su larga scala, per chiedere agli altri Stati sottoscrittori dell’accordo di Parigi di prendere una posizione esplicita contro le politiche energetico-climatiche proposte da Trump”.

Contrariamente alle aspettative (ai pii desideri?) dei più, Trump ha vinto e – come scrissi un anno fa – l’aspetto più preoccupante del suo programma era “l’intenzione di abrogare tutti gli ordini esecutivi di Obama che hanno posto limiti all’utilizzo di combustibili fossili e alle emissioni delle centrali elettriche, e di revocare l’adesione americana all’accordo raggiunto a Parigi, in quanto si tratta di decisioni che Trump, se eletto, potrà prendere in totale autonomia”.  

Decisioni che, in sequenza, Trump ha puntualmente preso.

Eppure, anche dopo il voto americano dello scorso novembre si è continuato a esorcizzare il peggio, forti del fatto che “prima e dopo Parigi una parte non piccola del mondo finanziario e delle grandi imprese ha dimostrato di essere più avanti dei governi nella consapevolezza dei rischi di un cambiamento climatico irreversibile, per cui la defezione americana non riuscirebbe a bloccare il percorso avviato”.

Affermazione che condivido – il virgolettato riporta un altro passaggio del mio intervento di un anno fa –, ma, fermandosi lì, come alcuni fanno, si dimentica un non trascurabile dettaglio. Gli interventi eseguiti da Trump e quelli prevedibili agiranno purtroppo da freno al percorso, già insufficiente, avviato a Parigi, e in un mondo impegnato in una corsa contro il tempo per evitare che la temperatura globale raggiunga i due gradi, il conseguente ritardo potrebbe rivelarsi esiziale.

Lo schieramento che, fuori e dentro gli Stati Uniti, si è immediatamente formato dopo l’annuncio di Trump, è importante a livello sia simbolico, sia pratico. Tuttavia, occorre resistere alla tentazione di utilizzarlo di nuovo per rimuovere le prospettive più sgradite.

Innanzitutto, in attesa di un panorama completo delle posizioni assunte dai governi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi, già abbiamo le dichiarazioni di Putin, molto soft nei confronti di Trump, e quelle parzialmente defilate della May. Un indebolimento non di poco conto nello schieramento che contesta la decisione del presidente USA.

Non meno importante sarà analizzare il significato di chi ha scelto o sceglierà di non pronunciarsi. Ad esempio, è preoccupante il silenzio dell’intera industria automobilistica americana, finora prodiga di dichiarazioni verbali sul proprio impegno ecologico, che, probabilmente, non si pronuncia in attesa di un’altra possibile decisione di Trump.

Non solo la California è lo Stato USA all’avanguardia nell’impegno a difesa dell’ambiente e nelle iniziative sul clima. Mentre scrivo queste righe, il governatore Jerry Brown partecipa in Cina a un incontro con alcuni dei più importanti “climate leaders” per definire una campagna mondiale di rilancio della lotta al cambiamento climatico.

Con 39 milioni di abitanti e un prodotto annuale di 2,4 trilioni di dollari, la California è la sesta economia mondiale, per cui ha un peso di mercato tale che le sue norme per gli autoveicoli vengono automaticamente adottate dai costruttori americani, anche se sono più restrittive di quelle federali o di altri Stati.

Ebbene, i consumi chilometrici massimi di benzina, ammessi in California a partire dal 2025, sono stati resi molto restrittivi, proprio per promuovere la rapida diffusione dei veicoli elettrici: scelta che preoccupa i costruttori di automobili, i quali se ne sono già lamentati con Trump, e almeno altrettanto l’intera catena del business petrolifero (in USA l’80% di un barile di greggio va nel trasporto). 

Poiché la California è stata autorizzata a stabilire normi più stringenti di quelle federali da un “waiver” (esenzione dal rispetto di particolari norme), emesso a suo tempo da Richard Nixon, potrebbe essere imminente una contro decisione, presa in piena autonomia da Trump. E non è detto che sia l’ultima, a giudicare dalle dichiarazioni del nuovo capo dell’EPA, Scott Puitt, sull’uso abnorme del federalismo da parte di singoli stati USA.

Basterebbe comunque l’annullamento del “waiver” di Nixon, per bloccare il percorso lo sviluppo sostenibile in un settore in America più rilevante che altrove.

Occorre dunque la piena consapevolezza della dimensione e della durezza dello scontro che ci attende, per potervi adeguare la nostra risposta.

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