Ieri, mercoledì 6 ottobre, il parlamento turco ha ratificato all’unanimità l’accordo di Parigi sul clima.
La Turchia era l’ultimo paese del G20 che mancava: il ritardo è dovuto alla resistenza per quella che il regime del presidente Tayyip Erdogan considerava come un’ingiustizia nel bilancio tra impegni richiesti e responsabilità storiche.
Infatti l’adesione al trattato arriva con una richiesta significativa: la Turchia lo sottoscrive a patto di essere considerata, ai fini dell’accordo, un paese in via di sviluppo e non un paese del cosiddetto Annex I che raccoglie i paesi industrializzati.
Ankara ha inviato una proposta in merito al Segretariato dell’UNFCCC a Bonn, in Germania, per rimuovere il suo nome dall’elenco del citato allegato I: se la Turchia fosse espunta dall’elenco industrializzati, potrebbe beneficiare degli aiuti nella lotta per il clima che l’accordo prevede per i paesi in via di sviluppo.
La questione verrà affrontata alla COP26 di Glasgow (dal 31 ottobre al 12 novembre), ma non è chiaro quale sarebbe il risultato della ratifica turca dell’accordo come paese in via di sviluppo se il cambiamento di status non venisse approvato alla conferenza sul clima.