Troppi laureati in combustibili fossili rispetto a quelli in energia pulita

Si continuano a formare più lavoratori per il comparto dell'energia fossile che per le fonti rinnovabili, e per tutti i livelli di istruzione. Cause ed effetti di questo divario e qualche raccomandazione.

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Come faremo a sostenere la necessaria rapida transizione energetica verso le rinnovabili con un capitale umano non adeguato per numero e competenze?

Come capita spesso lo sviluppo di uno specifico settore comporta sia opportunità che debolezze, che vanno valutate e governate per tempo. Al momento siamo in forte ritardo.

Ad esempio risulta che oggi il 68% dei titoli di studio energetici su scala mondiale è ancora incentrato sulle fonti fossili e solo il 32% sulle energie rinnovabili.

Lo rivela uno studio che si basa su una revisione di 18.400 università in 196 paesi, dal titolo “The failure to decarbonize the global energy education system: Carbon lock-in and stranded skill sets” (allegato in basso), curato da Roman Vakulchuk e Indra Overland del Norwegian Institute of International Affairs.

L’elevato numero dei paesi oggi in transizione energetica, e alcuni di questi con obiettivi a breve e medio termine veramente molto ambiziosi, stride con un’istruzione superiore che, in proporzione, produce ancora pochi lavoratori pronti per essere inseriti nei comparti dell’efficienza energetica, dell’edilizia a basso consumo, delle fonti rinnovabili, degli accumuli e della mobilità elettrica.

Un aspetto spesso sottovalutato anche in Italia dove è evidente la carenza di progettisti e di manodopera specializzata, a fronte di obiettivi sfidanti indicati già per fine decennio, che però resteranno difficilmente raggiungibili se non si interverrà su questo deficit formativo in modo organico. Ne abbiamo avuto più che un sentore nei momenti di maggiore richiesta per gli interventi in ambito Superbonus.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Energy Research & Social Science, rileva che il problema è sentito anche a livello mondiale: in particolare è notevole la lentezza dell’istruzione superiore a passare dalla formazione di competenze qualificate nel settore del fossile a quello delle energie rinnovabili; un dato poi ancora più accentuato per i Paesi in via di sviluppo rispetto a quelli industrializzati.

È pur vero che il divario si sta riducendo, ma non basta. Stiamo difronte ad un altro ostacolo, forse uno dei principali, che rischia di ritardare la conversione del settore energetico.

Gli autori affermano che si tratta dell’ennesimo esempio dell’influenza politica e finanziaria dell’industria dei combustibili fossili sull’istruzione superiore.

A tal proposito non possiamo non ricordare qui in Italia la denuncia di Greenpeace al Consiglio di Stato, in merito al fatto che Eni sta facendo pesare in modo rilevante la sua forza economica anche nella ricerca e nella didattica svolta nell’università pubblica, finanziando programmi e commissionando ricerche (Quanto Eni influenza la ricerca e la didattica nelle università?).

Un approccio di questo tipo, anche ammettendo un processo di transizione energetica in forte evoluzione, potrebbe limitare le opportunità, in un lasso di tempo non lungo, di milioni di lavoratori per le loro competenze “sbagliate”. Una sorta di rischio di stranded skills (competenze ridondanti o incagliate), alla stregua degli attuali investimenti in fonti energetiche sporche.

A livello globale, un aspetto che preoccupa gli autori del lavoro di ricerca è che all’attuale ritmo di cambiamento, i titoli universitari in energie rinnovabili e green raggiungerebbero un ipotetico 100% solo intorno al 2107 (nel grafico la quota globale di corsi di laurea in rinnovabili e combustibili fossili; la linea verde tratteggiata è una proiezione semplificata di quando questo livello per le rinnovabili potrà arrivare al 100%, se dovesse continuare il tasso medio di variazione dal 1999 al 2019).

Presentando il recente report World Energy Employment 2023, Fatih Birol, direttore esecutivo della Iea, avvertì: “l’accelerazione senza precedenti che abbiamo visto nelle transizioni verso l’energia pulita sta creando milioni di nuove opportunità di lavoro in tutto il mondo, ma queste non vengono riempite abbastanza rapidamente”.

Eppure, si leggeva in quel documento che nel 2021, per la prima volta, gli occupati totali nelle tecnologie pulite avevano superato il numero di quelli che lavorano nei combustibili fossili, tendenza poi proseguita nei due anni successivi. Ma veniva comunque segnalata l’acuta mancanza di manodopera qualificata in diversi comparti delle filiere industriali green.

Le competenze non sono solo per i livelli di istruzione superiore, perché per tanti lavori del settore energetico il numero di addetti con titoli o certificazioni o esperienza non tiene affatto il passo con la crescente mutata domanda. Oltre alle professioni scientifiche, tecnologiche e ingegneristiche, il gap riguarda soprattutto i lavori specializzati, come elettricisti, termotecnici e installatori.

Insomma, l’offerta di capitale umano e la formazione è molto in ritardo rispetto alla richiesta che proveniente dal settore delle fonti pulite e il divario sembra destinato ad ampliarsi ulteriormente, con la previsione di una marcata carenza di forza lavoro.

I ricercatori hanno scoperto che oggi ci sono 33 università completamente specializzate negli studi sul petrolio, mentre solo due università al mondo si concentrano completamente sulle energie rinnovabili. Tendenze simili sono state riscontrate anche a livello di facoltà universitarie.

Interessante il fatto che le università private sembrerebbero un po’ più attive delle università pubbliche nel passaggio all’educazione all’energia verde. Forse perché meno passive alle pressioni politiche ed economiche delle lobby fossili? Un aspetto che andrebbe approfondito.

Gli autori dello studio ritengono dunque che senza riforme urgenti, il cosiddetto carbon lock-in nel sistema globale di educazione energetica potrebbe avere un impatto negativo sulla transizione energetica.

Chiedono, quindi, che le università e la politica orientino i finanziamenti pubblici e privati sempre più verso le fonti rinnovabili e, più in generale, sulle tecnologie energetiche pulite. Propongono anche di eliminare gradualmente i titoli di studio completamente dedicati ai combustibili fossili.

I ministeri dell’istruzione devono collaborare con le università e pianificare titoli di studio e programmi di formazione rapidi nel campo dell’energia solare, eolica e idroelettrica, dello storage, eccetara.

Un messaggio che va indirizzato anche alla nostra politica e al sistema scolastico superiore e universitario, ancora troppo “fossilizzato” sul passato e, purtroppo, sempre un passo indietro rispetto ai cambiamenti in atto.

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