Il “realistico e non velleitario” Piano Energia e Clima del governo Meloni

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Il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica ha inviato a Bruxelles la proposta di aggiornamento del Piano Nazionale integrato Energia e Clima (Pniec). Una primissima valutazione di un documento mai condiviso veramente con gli stakeholder.

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Nel tardo pomeriggio di venerdì 30 giugno il sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica comunicava che era stata inviata alla Commissione europea la proposta di aggiornamento del Piano Nazionale integrato Energia e Clima (Pniec) al 2030.

Il documento, elaborato da enti esterni al Mase, è di 415 pagine e, insieme alla sintesi di 24 pagine, è scaricabile in fondo all’articolo.

Il Mase, nella sua nota, ci tiene a comunicare che la sua proposta è un’indicazione per una “transizione energetica realistica e non velleitaria”, posizione ormai ricorrente del ministro Pichetto Fratin su tutte le questioni che riguardano l’energia, come edilizia, veicoli e ovviamente rinnovabili.

Un approccio che qui si spiega con obiettivi un po’ più conservativi del previsto e con strumenti e metodi, secondo noi, ancora inadeguati allo scopo (non che i precedenti ministri e governi abbiamo brillato per una visione coraggiosa sulla decarbonizzazione del sistema energetico nazionale).

Un nuovo Pniec che era stato messo in una specie di consultazione a maggio con le organizzazioni e istituzioni di settore tramite un questionario, con domande fin troppo a largo spettro, e per meno di tre settimane. Possiamo dire che non c’è stato affatto un confronto con il tessuto imprenditoriale e industriale nazionale, cioè con chi dovrebbe mettere concretamente in campo know-how, risorse e idee.

Dovremmo avere un piano ben più strutturato, organico e ambizioso (diciamo, meno compilativo?), che punti a un cambiamento il più possibile rapido del mix energetico. Invece notiamo che quel velleitarismo non manca al governo quando si spinge a immaginare il nostro paese come un hub del gas e quando attua una sorta di offensiva diplomatica in paesi come Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto, altri paesi africani e del Golfo per accaparrarsi nuove forniture di metano, soprattutto a vantaggio di Eni, prospettando un ancora oscuro “Piano Mattei”, che forse verrà presentato a ottobre. E nel Pniec, guarda caso, quando si parla di sicurezza energetica, si fa quasi esclusivamente riferimento al gas.

Velleitarismo che ritroviamo pure quando, neanche troppo velatamente, il governo e questa maggioranza fa rifare capolino all’energia nucleare.

Tutte iniziative e dichiarazioni pubbliche che stridono con un serio e veloce processo di transizione energetica, così contraddittorie che fanno pensare che questo esecutivo non ci creda poi così tanto. Inoltre stiamo parlando di un piano energetico e climatico che dovrà essere aggiornato e approvato definitivamente entro il giugno del 2024, con appena cinque-sei anni davanti per raggiungere gli obiettivi del 2030. Alla faccia della programmazione e di un piano industriale orientato a tale processo!

Qual è allora il quadro che presenta questa nuova bozza del Pniec? Vediamo alcuni numeri, in attesa di approfondire nelle prossime settimane il documento nelle sue varie parti, soprattutto sugli strumenti che vi sono previsti.

La quota di fonti rinnovabili nei consumi finali lordi di energia è del 40,5%, dunque al di sotto del 42,5% indicato dal RepowerEU.

I consumi complessivi di energia per riscaldamento e raffrescamento al 2030 coperti da rinnovabili sono pari al 36,7% del totale (stimato in 51,9 Mtep circa). Nell’ambito dei consumi per il riscaldamento e raffrescamento alcuni target sembrano poco congruenti come il calo, rispetto al 2021, del contributo delle biomasse o un eccessivo aumento del biometano (da 0 a 3,7 Mtep).

Per quanto riguarda i trasporti, il Pniec prevede di raggiungere, grazie a più vettori energetici, una quota importante di rinnovabili pari al 30,7% sul totale (stimato in 41,5 Mtep).

Sul fronte delle rinnovabili elettriche la quota obiettivo è del 65% sui consumi di energia elettrica al 2030; una quota più bassa rispetto a quel 72% che per molte organizzazioni del settore è necessaria per arrivare a metà secolo al 100% rinnovabili sulla richiesta elettrica.

In termini di nuova potenza si prevede un obiettivo cumulativo di quasi 80 GW di fotovoltaico (+55 GW in 8 anni), un po’ meno di quanto il comparto del solare stima sia fattibile, e 28 GW di eolico (quasi +17 GW).

Considerando lo stallo dell’idroelettrico, il calo delle bioenergie e il marginale aumento della geotermia, la potenza elettrica da Fer a fine decennio sarebbe di almeno una decina di gigawatt inferiore a quanto ritenuto ottimale da molti analisti per avviare un concreto processo di decarbonizzazione.

Scarsa attenzione è stata data al ruolo fondamentale degli accumuli a integrazione del notevole apporto che dovranno fornire FV ed eolico e, di conseguenza, alla necessità di investire fortemente in più adeguate reti di distribuzione a cui farà capo oltre il 40% della produzione elettrica nazionale, con alcuni milioni di allacci di impianti a fonti rinnovabili ogni anno.

Ottimistico è poi è quel 42% di idrogeno da rinnovabili previsto per gli usi dell’industria.

Tralasciando per il momento il quadro e i dati specifici per gli obiettivi di efficienza energetica, diciamo solo che oltre il 50% dei risparmi dovranno essere realizzati nel settore residenziale, puntando a una crescita, forse fin troppo elevata, delle pompe di calore visto il breve lasso di tempo che abbiamo davanti. Per una forte spinta di questa tecnologia sarà comunque fondamentale una riforma degli incentivi fiscali, che al momento non sono certamente in grado di favorire quel decollo auspicato.

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