Le pompe di calore non vanno bene per i climi freddi? Non ditelo ai norvegesi…

CATEGORIE:

In Norvegia il 60% delle famiglie si scalda con le pompe di calore e diversi studi sfatano i pregiudizi sulle loro prestazioni nei climi rigidi.

ADV
image_pdfimage_print

Parlando di pompe di calore è molto diffusa l’idea che questi sistemi di riscaldamento non siano adatti ai climi più freddi e agli edifici meno efficienti.

Non è così, anche se, come abbiamo spiegato nella nostra rubrica dedicata, le Pdc danno ovviamente il meglio in edifici ben coibentati e ci sono casi in cui non sono affatto la scelta migliore.

Che le pompe di calore siano adatte anche ai climi rigidi, lo dimostrano innanzitutto i dati sulla loro diffusione. Ma ci sono anche diversi studi sulle prestazioni che mostrano come funzionino bene anche dove fa molto freddo e anche senza dover necessariamente ristrutturare l’edificio o rifare il sistema di distribuzione del calore.

Come mostra uno studio pubblicato su Nature Energy nel 2022, in Europa i quattro paesi con la quota maggiore di pompe di calore sono la Norvegia, dove servono il 60% delle famiglie, la Svezia (43% delle famiglie), la Finlandia (41%) e l’Estonia (34%): nazioni che affrontano anche gli inverni più rigidi d’Europa.

Anche se va detto che in questi paesi a favorire le Pdc c’è un’elevata prevalenza storica del riscaldamento a gasolio, la più alta penetrazione delle pompe di calore la troviamo proprio nei climi più freddi. Il grafico mette in relazione i gradi giorno di riscaldamento necessari e la diffusione delle Pdc.


Come noto, le pompe di calore elettriche usano l’elettricità per spostare il calore dall’aria esterna, (o dall’acqua o dal terreno, a seconda della fonte) verso l’interno di un edificio e/o per riscaldare l’acqua, con un processo altamente efficiente: forniscono da tre a cinque unità di calore per ogni unità di elettricità necessaria per il loro funzionamento, il cosiddetto COP o coefficiente di prestazioni che misura appunto il calore che può essere prodotto per ogni unità di energia immessa.

Un COP di 3 o 4 è una prestazione media. Il COP per le Pdc con sorgente ad aria dipende dalla temperatura esterna, e un valore intorno a 1,5-2 gradi sotto lo zero è generalmente considerato soddisfacente per il loro funzionamento.

Tuttavia in Finlandia test di laboratorio su alcune delle pompe di calore leader di mercato (qui il pdf) hanno mostrato COP superiori a 2 intorno a -20 °C (con l’aria come sorgente). A -30 °C, i COP sono ancora >1, che significa che forniscono ancora il calore necessario, ma non in modo altrettanto efficiente.

Per guardare situazioni meno estreme e più simili a quelle che troviamo nelle zone fredde italiane, sarebbe più significativo considerare gli studi del noto Fraunhofer Institut tedesco che riguardano Pdc aria-aria e aria-acqua in Germania.

Il centro di ricerca ha messo alla prova diverse decine di Pdc in condizioni reali, cioè nel clima tedesco e soprattutto in edifici vecchi, spesso non coibentati al meglio e con sistemi di distribuzione del calore non proprio a misura di pompe di calore (vedi studio – pdf)

Testate per un inverno, a una temperatura media esterna di -3 °C le 29 pompe di calore con sorgente ad aria del test hanno raggiunto fattori di prestazione stagionale da 2,5 a 3,8 con una media di 3,1 (mentre le Pdc con sonda geotermica del test sono arrivate alla media di 4,1).

Interessante anche quel che i tecnici scrivono su edifici e sistemi di distribuzione: “l’analisi degli edifici ha dimostrato che non è necessario adeguare l’edificio ai più moderni standard energetici dell’edilizia per far funzionare correttamente le pompe di calore”.

Che le pompe di calore siano una soluzione efficiente, e conveniente dal punto di vista economico anche nei climi rigidi, d’altra parte, lo spiega anche uno studio di cui abbiamo parlato in passato del Michigan Technological University negli Usa e del KTH Royal Institute of Technology in Svezia.

Si tratta di un’analisi tecnico-economica che considera le fredde zone rurali del Midwest americano e ipotizza differenti livelli di elettrificazione (con/senza integrazione di pannelli fotovoltaici) degli edifici residenziali, dove attualmente si utilizza il Gpl per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria.

Dalle analisi emerge che con le pompe di calore si riducono fino al 20% i costi complessivi delle forniture energetiche, rispetto all’uso di Gpl. Inoltre, si riducono le emissioni di gas serra fino al 30%, e fino al 50% potendo abbinare il fotovoltaico alle pompe di calore.

In sostanza, si spiega nella sintesi della ricerca, le pompe di calore sono già competitive rispetto al Gpl nelle aree isolate e in climi freddi, a prescindere dalla eventuale installazione diun impianto fotovoltaico per incrementare la quota di autoconsumo energetico.

ADV
×