Plusvalenze Superbonus, quali interventi da tassare? Le proposte del Notariato

La richiesta è di considerare idonei a generare plusvalenza (tassata al 26%) solo gli interventi edilizi trainanti e trainati di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia.

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Fino al 2023 le spese per la realizzazione dei lavori agevolati con il Superbonus 110% erano deducibili dalla plusvalenza tassabile in caso di rivendita dell’immobile.

Con la Legge di Bilancio per il 2024 il governo però ha rovesciato questa prospettiva, prevedendo che i lavori effettuati tramite l’agevolazione fruita sotto forma di sconto in fattura o cessione del credito non siano più deducibili dalla plusvalenza, che viene tassata al 26%, se l’immobile è rivenduto entro 5 anni dalla fine dell’intervento.

Questo per evitare una doppia agevolazione: la realizzazione di lavori a costo zero (che aumentano il valore dell’immobile) e la sua successiva vendita, una volta riqualificato, senza il pagamento di una tassa sulla plusvalenza. Ricordiamo che la Legge di Bilancio esclude gli immobili acquisiti per successione e quelli adibiti a prima casa per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o, se tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo.

Il Consiglio nazionale del Notariato propone in uno studio pubblicato ieri 20 marzo (link in basso) che le limitazioni vengano però inquadrate in base alla tipologia edilizia dei lavori realizzati e alla loro localizzazione. Questo per evitare di colpire tutti gli immobili indiscriminatamente, proponendo paletti meno stringenti.

Nel dettaglio, secondo il Notariato dovrebbero generare una plusvalenza Superbonus solo gli interventi che abbiano riguardato direttamente l’immobile, escludendo quindi:

  • i lavori sulle parti comuni;
  • i lavori di manutenzione ordinaria e quelli qualificabili come edilizia libera;
  • i lavori agevolati con un’aliquota inferiore al 110%;
  • le vendite effettuate da chi non ha usufruito del Superbonus.

Si chiede che vengano considerati idonei a generare plusvalenza solo gli interventi edilizi trainanti e trainati di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, tenendo fuori una serie di interventi come riparazioni, sostituzioni delle finiture, integrazione degli impianti tecnologici, installazione di pompe di calore, eliminazione di piccole barriere architettoniche, sostituzione delle finestre e delle strutture accessorie, installazione di pannelli solari, sostituzione di impianti di climatizzazione invernale.

Altre criticità sollevate dal Notariato riguardano il caso in cui i lavori agevolati non siano stati realizzati dal proprietario dell’immobile, ma dall’usufruttuario o dal comodatario. Se il proprietario vendesse poi l’immobile si troverebbe a subire una tassazione per lavori che non ha pagato. L’ultimo nodo riguarda la data di fine lavori, ad esempio per condomìni molto grandi: a seconda di dove si trovi l’edificio ristrutturato, la scadenza potrebbe essere diversa, e quindi anche la decorrenza del periodo di 5 anni.

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