Perché la strada dell’idrogeno verde è ambigua e ancora molto lunga

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Consumi idrici elevati, rischio di rimanere vincolati alle infrastrutture gas, necessità di avere tantissima potenza rinnovabile dedicata: i problemi per la produzione di H2 green in un nuovo studio commissionato da ReCommon.

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Consuma molta acqua, richiede una potenza enorme di nuove energie rinnovabili dedicate, dovrà essere importato in buona parte da altri Paesi ed anche un modo per mantenere in vita gli asset fossili legati al gas (perché sarà trasportato via tubo).

Di cosa stiamo parlando? Di idrogeno verde, quello prodotto con energia elettrica 100% rinnovabile, eolica o solare.

È la sintesi delle tante critiche mosse da ReCommon – associazione impegnata a promuovere la transizione energetica pulita – contro il piano europeo di produrre grandi quantità di H2 green, al fine di decarbonizzare le industrie e i trasporti pesanti.

La cornice è uno studio commissionato dalla stessa ReCommon (allegato in basso), per indagare la sostenibilità economica della filiera produttiva di idrogeno verde in Italia, a firma di Leonardo Setti (Università di Bologna) e Sofia Sandri del Centro per le Comunità Solari.

Ricordiamo brevemente cosa prevede la strategia Ue per questo settore, presentata a luglio 2020.

Il traguardo è produrre un milione di tonnellate/anno di idrogeno da rinnovabili entro il 2024, per poi salire a 10 milioni entro il 2030. Ciò richiederà di aver installato almeno 6 GW di elettrolizzatori al 2024 e 40 GW al 2030 (più 40 GW di capacità di elettrolisi in Paesi extra-Ue).

Poi il piano REPowerEU presentato a marzo 2022, in risposta alla crisi energetica legata al conflitto in Ucraina, ha previsto di innalzare a 20 milioni di tonnellate/anno al 2030 la disponibilità di idrogeno verde a livello Ue, considerando la produzione domestica più le importazioni, che cresceranno grazie alle nuove infrastrutture integrate per trasporto, distribuzione e stoccaggio (Hydrogen Accelerator).

Lo studio quindi solleva diversi aspetti problematici.

Un tema è di stretta attualità perché riguarda il consumo idrico. Lo studio, infatti, si legge in una nota di ReCommon, evidenzia che per produrre 1 kg di idrogeno da elettrolisi occorrono circa 9 litri di acqua, quindi per ottenere una tonnellata di H2 si devono consumare ben 9.000 litri.

La strategia italiana, si spiega, prevede di produrre 700mila tonnellate di idrogeno/anno entro il 2030, per le quali servono circa 6,3 milioni di metri cubi di acqua.

Tenendo conto del consumo complessivo di acqua degli elettrolizzatori, la produzione di idrogeno a livello Ue entro il 2050, sottolineano gli autori della ricerca, “farebbe aumentare il consumo di acqua annuo nel corso degli anni a circa 0,6 miliardi di metri cubi nel 2050”.

“Sebbene rappresenti solo lo 0,3% del consumo europeo di acqua dolce – spiegano d ReCommon – potrebbe porre limiti alla localizzazione dei progetti in tutto il continente, in quanto il consumo di acqua sarebbe concentrato sugli elettrolizzatori, e quindi il consumo locale potrebbe diventare un limite da considerare con attenzione anche alla luce dei cambiamenti climatici che, come stiamo osservando, rischiano di modificare completamente la disponibilità attuale di risorsa” (neretti nostri nelle citazioni).

Altro tema molto criticato riguarda il progetto della European Hydrogen Backbone, presentato nel 2020 e aggiornato nel 2021, la rete europea di infrastrutture per il trasporto di H2.

Il progetto prevede di realizzare entro il 2040 quasi 40.000 km tra tubazioni a idrogeno riadattate e nuove dedicate, “per fungere da prima infrastruttura di hydrogen pipeline in Europa”.

In sostanza, anche per la produzione e il trasporto di H2 si rischia di rimanere vincolati alle attuali rotte di importazione del gas naturale.

“Sulla base di questa strategia, l’utilizzo dell’idrogeno non può prescindere dai rapporti geopolitici che attualmente governano la produzione e la distribuzione del gas naturale: un significativo esempio di come questo vettore energetico, anche se prodotto da energia rinnovabile, non può riscattare l’indipendenza energetica di un Paese come l’Italia”, affermano gli autori.

Va detto però che secondo altre analisi, ad esempio quelle pubblicate da Irena lo scorso gennaio, si potrà sviluppare una hydrogen economy in grado non solo di avvicinare i traguardi climatici, ma anche di ridefinire le relazioni geopolitiche, togliendo potere agli Stati che finora hanno vissuto su gas e petrolio, e creando nuovi poli energetici green in Africa e altri continenti.

Infine, a destare preoccupazione è il notevole incremento di fonti rinnovabili richiesto per la produzione di idrogeno verde.

Stime recenti del Politecnico di Milano indicano che, solo in Italia, serviranno 15 GW di elettrolizzatori e altri 70 GW di rinnovabili per produrre H2 verde in quantità sufficiente a decarbonizzare le industrie e i trasporti pesanti, contro un piano italiano che per ora si ferma a 5 GW di elettrolizzatori al 2030.

Insomma, le sfide per la filiera industriale rinnovabili-idrogeno sono tante e complesse, così come le opportunità di investimento, e molto dipenderà dalla prossima evoluzione del quadro normativo, soprattutto in tema di incentivi e sostegni finanziari.

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