Due “titani” si combattono per il predominio nel mondo della transizione energetica: gli elettroni e gli atomi di idrogeno.
Su un lato del ring ci sono gli elettroni, la base della elettrificazione diretta, cioè dell’uso dell’elettricità per ogni possibile impiego: dalle lampadine fino alle acciaierie, passando per trasporti e la climatizzazione delle abitazioni.
Un mondo elettrificato al 100%, ovviamente alimentato da fonti rinnovabili, sarebbe un mondo estremamente efficiente e pulito, in cui, per esempio la facciamo finita anche con il primo uso tecnologico dell’energia: il fuoco, cioè la combustione, con il suo corredo di inquinanti e pericoli, sostituita da dispositivi tecnologici elettrici come le pompe di calore.
Il problema di questo scenario ideale è che ci sono alcune applicazioni che si prestano male all’uso dell’elettricità diretta. È il caso del trasporto aereo, dove il rapporto energia/peso deve essere il più alto possibile, il che si concilia male con l’uso di accumulatori; ma anche la produzione siderurgica, dove oltre al calore ad altissima temperatura, servono anche sostanze chimiche che trasformino gli ossidi di ferro in ferro metallico.
Pensare di usare l’elettricità anche per queste applicazioni, vuol dire rivoluzionare infrastrutture e mondo produttivo, oltre che inventare nuove tecnologie o perfezionarne altre esistenti, ma ancora solo come prototipi.
Dall’altro lato del ring sta l’idrogeno, che non è altro che una forma di storage chimico di elettricità, visto che nella sua versione “verde”, verrebbe prodotto per elettrolisi dell’acqua (anche se potrebbe arrivare presto anche la versione “bianca”, di origine geologica).
Il suo essere un fluido, gassoso, come idrogeno puro, o liquido, come combustibili ottenuti facendolo reagire con carbonio o azoto, lo rendono molto più integrabile con le infrastrutture esistenti, pensate per utilizzare appunto gas o liquidi combustibili.
L’idrogeno potrebbe quindi velocizzare e rendere meno costosa la transizione in alcuni settori, come il riscaldamento delle abitazioni o l’industria, mentre offrirebbe una soluzione a uno dei principali problemi della transizione, lo stoccaggio stagionale di energia solare ed eolica.
Il tutto però al prezzo di aggiungere una serie di conversioni fra la fonte elettrica e l’uso finale, con un drastico calo dell’efficienza complessiva, che nel caso dei combustibili di sintesi può anche significare lo spreco fino al 60% dell’elettricità di partenza.
Continuando a usare combustione ad alta temperatura, inoltre, un mondo a idrogeno non risolverebbe il problema dell’emissione di certi inquinanti, come gli ossidi di azoto, mentre manterrebbe i problemi di sicurezza legati all’usare un gas facilmente esplosivo in tante applicazioni.
Per capire come dirimere questa questione, e in particolare come si debbano spartire le due soluzioni i campi più contendibili, come il riscaldamento domestico e il trasporto su strada, il fisico dell’Istituto Potsdam per la Ricerca sul Clima, Felix Schreyer, ha realizzato un modello dell’economia della Unione europa da ora al 2050, verificando quale sia il mix più conveniente fra elettrificazione diretta e uso dell’idrogeno e combustibili di sintesi, pubblicandolo su One Earth (allegato in basso).
“Precedenti ricerche hanno dimostrato che il nostro sistema energetico può essere trasformato in un sistema alimentato a fonti rinnovabili come l’eolico e il solare a basso costo e a basso impatto ambientale. Tuttavia, la domanda successiva è come utilizzare questa elettricità rinnovabile per sostituire l’uso di combustibili fossili nei settori dell’edilizia, dell’industria e dei trasporti”, dice Schreyer.
“Per rispondere – spiega – abbiamo fatto variare le percentuali delle due possibili strade verso la transizione, fino a trovare l’optimum fra le due, considerando quali settori convenga sicuramente elettrificare, e in quali mantenere invece l’uso di combustibili gassosi e liquidi”.
La risposta che i ricercatori hanno trovato non soddisferà certo i fan dell’idrogeno.
“Secondo i nostri risultati l’elettrificazione diretta dovrebbe coprire fra il 42 e il 60% degli usi energetici europei, mentre l’elettrificazione indiretta attraverso idrogeno e combustibili di sintesi fra il 9 e il 26% del totale, con la parte restante fra i due coperta da fonti diverse come l’uso residuale di combustibili fossili, biomasse, biocombustibili o calore geotermico”, dice il ricercatore tedesco. Nel grafico una sintesi degli scenari dello studio.
In particolare, l’uso di idrogeno non convince proprio nei settori dove entrambe le soluzioni sarebbero tecnologicamente mature, sia per il riscaldamento a bassa temperatura, dove è meglio usare dalle pompe di calore elettriche, che per il trasporto su strada, che può essere elettrificato tramite le batterie.
“In casi come questi lo spreco energetico, e quindi i relativi costi, dell’usare idrogeno o combustibili di sintesi, non è economicamente giustificato, esistendo già tecnologie collaudate che impiegano direttamente l’elettricità. Entrambe le strade inoltre richiedono anche una trasformazione delle infrastrutture di distribuzione dell’energia, con quelle per l’elettricità, probabilmente meno onerosa di quelle necessarie per l’uso di idrogeno”, argomenta Schreyer.
Ma quindi in quali settori servirà l’uso di questo gas?
Il fisico del Postdam Institute lo considera applicabile in tre settori: per lo stoccaggio stagionale, secondo gli scenari meno e più favorevoli all’idrogeno, al 2050 l’Europa avrebbe bisogno di questo gas in una quantità che varia fra 300 e 600 TWh annui, per i trasporti navali, stradali pesanti e aerei fra 350 e 700 TWh annui e per gli usi industriali fra 250 e 1200 TWh annui.
Sono cifre enormi, fra gli 800 e i 2500 TWh di idrogeno totali, come dire fra il 7 e il 22% degli 11.000 TWh di tutti gli attuali consumi energetici annuali della Unione europea.
Numeri spiegabili dal fatto che l’idrogeno andrebbe a sostituire i combustibili fossili in settori dove scorrevano a fiumi, e senza alcuna concorrenza.
Difficile immaginare come al 2050 si possano raggiungere simili livelli di produzione di idrogeno all’interno della Ue, considerando che un solo terawattora di questo gas vogliono dire 22 milioni di tonnellate, circa 3 volte quelle che verranno realizzate entro il 2030 dagli impianti approvati con la prima asta Ue.
Occorrerà pertanto fare ogni sforzo possibile per ridurre al minimo indispensabile l’uso di idrogeno nella transizione energetica, perché autoprodurcelo nelle quantità massime indicate da questa ricerca è irrealistico: per soddisfare la domanda bisognerebbe immaginare una sua massiccia importazione, che comporterebbe una nuova dipendenza dall’estero, anche se spalmata fra un numero di produttori molto maggiore di quelli che oggi ci forniscono i fossili, a cui vanno inclusi ulteriori costi e sprechi energetici per il trasporto.
Una dipendenza che addirittura porterebbe alla tentazione di risolvere il problema dell’enorme domanda di idrogeno con tecnologie di dubbiosa attuazione e sicurezza, come l’idrogeno blu, prodotto cioè dal metano con la successiva cattura e stoccaggio della (tantissima) CO2 risultante.
Insomma, se lo scontro fra i due titani dell’energia sostenibile finirà nel modo più giusto e razionale, a vincere sarà l’elettrificazione diretta del sistema energetico sull’idrogeno, diciamo “per ko tecnico”.
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