Nuovi super profitti per il petrolio nel 2021 spinti dal tight-oil americano

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Le stime di Rystad Energy, che però cozzano con il monito della IEA di non investire in nuovi progetti upstream.

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È tempo di nuovi super-profitti per l’industria petrolifera nel 2021, grazie ai prezzi alti del barile (Brent intorno a 70 dollari), alla ripresa della domanda di oro nero mentre i paesi Opec+ continuano a trattenere volumi dal mercato (in modo da favorire il rialzo delle quotazioni), ai bassi livelli di investimenti.

Secondo Rystad Energy, le aziende mondiali quotate in borsa attive nell’esplorazione-produzione di petrolio, otterranno flussi di cassa record quest’anno, nell’ordine di 348 miliardi di dollari, vs il precedente picco di 311 miliardi nel 2008, come evidenzia il grafico seguente (cliccare sopra per ingrandire).

Un fattore decisivo che alimenta questa tendenza, spiega Rystad, è il cambio di passo dell’industria americana del tight-oil, il cosiddetto petrolio di scisto, estratto con tecniche più costose rispetto ai pozzi e giacimenti convenzionali (si usa il fracking per spaccare le formazioni rocciose che contengono il greggio).

Le aziende Usa del settore, ricordano gli analisti, hanno sempre faticato a generare profitti e molte, infatti, sono finite in bancarotta.

Tuttavia, nel 2021 le società americane del tight-oil avranno flussi di cassa per oltre 60 miliardi di dollari, secondo le stime riportate da Rystad, più di quanto faranno le aziende operative nei segmenti offshore, mentre le compagnie petrolifere con pozzi-giacimenti a terra convenzionali dovrebbero generare, secondo Rystad, circa 160 miliardi di dollari di flussi di cassa da attività upstream.

E storicamente, segnala Rystad, c’è un legame tra eccesso di liquidità e ripresa di operazioni finanziarie e investimenti: gli analisti, infatti, affermano che nel 2021 si è già osservato un aumento delle fusioni e acquisizioni nel settore petrolifero, così come una crescita degli investimenti in nuovi progetti.

Va detto che questa ripresa cozza contro le recenti valutazioni dell’Agenzia internazionale dell’energia, quando nel presentare il rapporto Net-zero 2050 ha spiegato perché non ha più senso investire in nuovi progetti che riguardano i combustibili fossili. Per azzerare le emissioni di CO2 a metà secolo è necessario, in sostanza, ridurre sempre di più l’uso di carbone, petrolio e gas, lasciando sottoterra le risorse fossili non ancora esplorate, concentrando gli investimenti sulle tecnologie pulite.

Anche per Wood Mackenzie il petrolio sarà il principale sconfitto della transizione energetica verso le fonti rinnovabili.

Wood Mackenzie ritiene che i consumi petroliferi inizieranno a scendere nel 2023 per poi accelerare la caduta negli anni successivi, portandosi a circa 35 milioni di barili giornalieri nel 2050.

Per quanto riguarda i prezzi, gli analisti stimano che il petrolio sul Brent seguirà la seguente traiettoria: 37-42 dollari al barile nel 2030, 28-32 $ al barile nel 2040, per poi appiattirsi definitivamente sui 10-18 $ a metà secolo.

Così sarebbero a rischio ben 14mila miliardi di dollari in valore futuro di asset petroliferi upstream non più utilizzati.

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