Dal nucleare il 25% dell’energia elettrica Ue nel 2020, ma il suo futuro è quanto mai incerto

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I dati Eurostat e il dibattito in corso sull'inclusione dell'atomo tra gli investimenti "sostenibili".

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Mentre continua il dibattito sul “si” o “no” a gas e nucleare nella classificazione europea degli investimenti considerati sostenibili (dal punto di vista ambientale), Eurostat ha pubblicato le statistiche aggiornate su quanta energia elettrica hanno fornito i reattori atomici nei vari Paesi Ue.

Nel 2020, in totale, 13 Stati membri hanno generato 683.512 GWh con 109 reattori, quasi il 25% della generazione elettrica complessiva in Europa, considerando tutte le fonti.

La maggior parte della produzione delle centrali atomiche si è concentrata in 4 Paesi: al primo posto la Francia con più di 353.000 GWh. Quindi la Francia, da sola, ha prodotto il 52% di tutta la elettricità da nucleare a livello europeo.

A seguire ci sono Germania (64.382 GWh) e Spagna (58.299 GWh), che valgono ciascuna il 9% circa della generazione Ue da nucleare. Poi al quarto posto figura la Svezia con 49.198 GWh e il 7% della torta europea.

Quanto pesa in percentuale il nucleare sul mix elettrico di ogni singolo Paese?

La Francia è nettamente in cima alla classifica con il 67% di nucleare nel suo mix di generazione nel 2020.

La Slovacchia, con il 54%, è il solo altro Paese a produrre oltre metà della sua energia elettrica con reattori atomici.

In Ungheria e Bulgaria il nucleare vale, rispettivamente, il 46% e 41% della produzione complessiva di elettricità. Belgio, Slovenia, Repubblica Ceca e Finalndia sono Paesi dove questa fonte di energia fa più del 30% del mix di produzione.

Come potrà evolversi questo quadro nei prossimi anni?

La Commissione europea ha proposto di ammettere, tra gli investimenti verdi, anche le nuove centrali nucleari con permessi di costruzione rilasciati prima del 2045, a condizione che ogni progetto preveda un piano per stoccare in sicurezza i rifiuti radioattivi.

Se passerà la nuova tassonomia con dentro il nucleare, sarà anche possibile ottenere finanziamenti Ue per estendere la vita utile degli impianti atomici esistenti, a condizione di introdurre migliormaneti in grado di raggiungere i più elevati standard di sicurezza.

Del tutto contraria è la Germania, che a fine dicembre ha chiuso tre dei sei reattori ancora attivi nel Paese; gli altri tre, per complessivi 4 GW, chiuderanno entro fine 2022. La Germania ha deciso di puntare tutto su rinnovabili, accumuli e gas.

E dalle ultime indiscrezioni, Berlino sembra decisa a far sentire la sua voce contraria alla inclusione del nucleare nella tassonomia, con un parere non vincolante alla Commissione Ue.

Il nucleare invece resta un punto fermo per Parigi perché al momento non si intravede alcuna intenzione di rinunciare a questa risorsa energetica.

Il governo francese prevede di far entrare in funzione diversi reattori di nuova concezione nel 2035-37. I futuri impianti avrebbero tecnologia Epr-2, quindi sarebbero versioni migliorate della tecnologia Epr sviluppata da Edf, che ha già registrato anni di ritardi e miliardi di euro di extra costi, presso le centrali appena completate o ancora in costruzione in Francia e Finlandia.

Il reattore francese di Flamanville 3, in particolare, come annunciato nei giorni scorsi da Edf, costerà 300 milioni di euro in più del previsto e il carico di combustibile è stato posticipato di sei mesi, a fine 2023. La causa sarebbe da attribuire ad alcune saldature difettose, che verranno riparate entro la fine di agosto anziché entro la fine di aprile.

Così il costo totale per il reattore Epr da 1.600 MW è salito a 12,7 miliardi di euro, cioè quattro volte la prima stima effettuata nel 2004.

Chiudere il nucleare non sarà poi semplice in un Paese come il Belgio, che nel 2020 ha generato quasi il 40% di elettricità con i suoi sette reattori in due centrali, Doel e Tihange, per complessivi 5,7 GW di potenza, di cui è previsto lo stop entro il 2025.

Saranno quindi necessari maggiori investimenti in rinnovabili e nel gas, che il Belgio punta a utilizzare come combustibile di transizione, senza peraltro accantonare progetti di sviluppo e ricerca per nuove tecnologie nel campo nucleare, come i piccoli reattori modulari.

Vedremo, nelle prossime settimane, come si evolveranno gli equilibri tra i diversi Paesi Ue, in particolare tra Francia, Germania e Italia, in tema di gas e nucleare.

Con ogni probabilità, la logica del “do ut des” finirà per accontentare sia i paladini del nucleare sia i sostenitori del gas, in uno scambio di reciproche concessioni per tenere in piedi il castello della tassonomia.

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