Il litio è tra le 34 materie prime critiche censite dalla Commissione europea, e rientra tra le 17 classificabili come “strategiche” per la transizione energetica e digitale.
Secondo la Banca Mondiale, per adempiere agli obiettivi climatici globali fissati per il 2050, bisognerà aumentarne la sua estrazione di 10 volte, visto che entro quella scadenza la domanda sarà cresciuta del 500%.
Ottenerlo a bassi costi e riducendo le emissioni è il risultato cui mira il memorandum d’intesa siglato tra la multiutility italiana Iren e la società australiana Altamin Limited, che opera in Italia da oltre un decennio ed è attiva nell’identificazione, valutazione e sviluppo di progetti minerari strategici nel nostro Paese.
L’intesa riguarda il recupero del litio dalle salamoie geotermiche nell’ambito dell’Altamin’s Geothermal Lithium Project attivo nel Lazio. Si tratta di bacini di acqua salata a una temperatura compresa tra 100 e 300 °C, con un’elevata concentrazione di sali come il litio, sotto forma di cloruro, solfato o carbonato disciolto, che si generano principalmente nelle aree geotermiche (Geotermia ed estrazione del litio, accoppiata vincente?).
L’acqua che circola nel sottosuolo scioglie i sali delle rocce circostanti e porta quindi alla formazione delle salamoie ad alta concentrazione di metalli. A seconda della loro origine geologica, le salamoie geotermiche contengono tra 0,1 e 500 milligrammi di litio per litro.
L’area su cui Altamin ha ottenuto i permessi di ricerca era già stata oggetto di esplorazione negli anni ’70 per valutarne il potenziale per la produzione di energia geotermica. Dall’analisi di quelle acque è emersa un’elevata concentrazione di litio. Ora le due aziende intendono studiarne potenzialità e modalità di recupero, per poi eventualmente procedere con le attività di estrazione.
Il progetto è relativo a sei licenze esplorative concesse in provincia di Roma, a nord della capitale (Galeria, Campagnano, Melazza, Cassia, Sabazia e Sacrofano). Finora Enel Green Power era la sola a operare in questo ambito a Cesano, sempre a nord di Roma, insieme a Vulcan Energy Resources.
“Il recupero del minerale dalle salamoie geotermiche ha numerosi vantaggi rispetto ai metodi convenzionali, in particolare l’estrazione mineraria e l’evaporazione in bacini di litio”, afferma Alexander Burns, presidente di Altamin.
Il primo è il bilancio delle emissioni: il processo si basa sulle normali operazioni geotermiche e produce un risparmio di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera.
Per mezzo di un’apposita centrale geotermica è possibile, infatti, estrarre la salamoia dal sottosuolo e sfruttarne il calore per alimentare una turbina, in grado a sua volta di produrre energia sufficiente ad autoalimentare l’intero processo.
Inoltre, per la lavorazione non sono necessarie grandi quantità di acqua e grandi superfici, a differenza invece del processo di evaporazione nei bacini di litio. La salamoia rimanente, raffreddata, viene infine reimmessa nel sottosuolo. “Tutti questi fattori si riflettono positivamente su costi della produzione finale – conclude il presidente di Altamin – che sono decisamente inferiori rispetto ai processi convenzionali”.
Finora le più grandi risorse di litio al mondo si trovano in Sud America (Bolivia, Argentina e Cile) e in Australia. Generalmente in questi luoghi l’estrazione avviene in cave a cielo aperto, con un impatto ambientale enorme per le emissioni di CO2.
In Europa un altro progetto simile a quello italiano, particolarmente ambizioso, è quello della start-up australiana Vulcan Energy in Germania. L’azienda intende costruire cinque impianti geotermici nella Valle del Reno, dove si trova una delle più grandi riserve mondiali di litio contenuto nella salamoia geotermica, con l’ambizione di estrarre 40mila tonnellate di idrossido di litio all’anno entro il 2025.