Litio, nichel, cobalto: quanto crescerà la domanda Ue di metalli per la transizione energetica?

Il rischio di nuove dipendenze. Ma sul medio-lungo periodo il riciclo potrà dare un contributo molto rilevante. Le stime in uno studio dell'università belga KE Leuven.

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Per azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050 con una transizione energetica green accelerata, i Paesi Ue avranno bisogno di una quantità di metalli come litio, cobalto, silicio, alluminio e rame, molto più alta rispetto a oggi.

E questa accelerazione verso le fonti rinnovabili porrà nuove sfide – economiche, industriali, geopolitiche – per assicurare forniture stabili, a costi competitivi e con ridotti impatti ambientali, delle diverse materie prime utilizzate nelle batterie, nelle pale eoliche e nei pannelli fotovoltaici.

Secondo uno studio pubblicato dalla università belga KU Leuven e commissionato da Eurometaux (associazione europea dei produttori di metalli non ferrosi), la transizione verde richiederà il 33% di alluminio in più al 2050 rispetto ai consumi attuali, a causa della maggiore domanda trainata da veicoli elettrici, fotovoltaico e sviluppo delle reti elettriche.

Poi servirà il 35% di rame in più, il 45% di silicio in più, mentre le forniture di nichel dovranno aumentare del 103% e quelle di cobalto del 330%.

Per la domanda europea di litio si stima un balzo pari al 3535% e notevoli incrementi ci saranno anche per le terre rare come neodimio (+827%) e disprosio (+2666%).

Il grafico seguente, tratto dallo studio “Metals for Clean Energy”, evidenzia la prevista crescita della domanda Ue per i metalli essenziali nella fabbricazione delle batterie.

Il problema quindi è come sviluppare un mix energetico sempre più pulito e sganciato dalle importazioni di combustibili fossili, senza creare nuove dipendenze da approvvigionamenti esteri di materie prime “critiche” con relativi rischi geopolitici.

Lo studio stima che in Europa la transizione verde entro il 2050 richiederà ogni anno (tra parentesi gli aumenti percentuali in confronto ai consumi attuali):

  • 4,5 milioni di tonnellate di alluminio (+33%)
  • 1,5 milioni di tonnellate di rame (+35%)
  • 800.000 tonnellate di litio (+3.500%)
  • 400.000 tonnellate di nichel (+100%)
  • 300.000 tonnellate di zinco (+10-15%)
  • 200.000 tonnellate di silicio (+45%)
  • 60.000 tonnellate di cobalto (+330%).

Gli autori del rapporto ritengono che in Europa potrebbero insorgere problemi intorno al 2030 a causa della carenza di approvvigionamento globale per cinque metalli, in particolare di litio, cobalto, nichel, terre rare e rame.

La domanda Ue di questi metalli primari raggiungerà il picco intorno al 2040. In seguito, un maggiore riciclaggio aiuterà i singoli Paesi a raggiungere una maggiore autosufficienza, supponendo che siano effettuati importanti investimenti nelle infrastrutture e che siano superati i colli di bottiglia legislativi.

Gli esperti di KU Leuven sostengono che le miniere domestiche potrebbero potenzialmente coprire tra il 5% e il 55% del fabbisogno europeo di metalli per la transizione energetica nel 2030, anche se la maggior parte dei progetti annunciati ha un futuro incerto, ostacolato dalle opposizioni delle comunità locali e dalla lunghezza e complessità delle autorizzazioni.

Inoltre, la crisi energetica attuale rende più difficile investire in nuovi stabilimenti europei per la raffinazione dei diversi metalli, rendendo ancora più stretta la dipendenza dalle forniture extra-Ue.

Sul medio-lungo termine, il riciclo consentirà di risolvere in parte questi problemi lungo la filiera degli approvvigionamenti.

Difatti, si stima che il riciclo potrà valere in totale il 45-65% della domanda europea di metalli non ferrosi al 2050. Ad esempio, come si vede dal grafico qui sotto, rimanendo nel campo dei metalli per le batterie, nel 2050 il 77% del litio potrà arrivare dalla filiera del riciclo (oggi pari a zero), così come il 43% del nichel e il 67% del cobalto.

Peraltro, puntare sul riciclo ha un grande vantaggio ambientale, perché si riducono del 35-95% le emissioni di CO2 in confronto alla produzione primaria di metalli.

Liesbet Gregoir, autore principale dello studio, spiega però che “è necessario un cambio di paradigma se l’Europa vuole sviluppare nuove fonti di approvvigionamento locale con un’elevata protezione ambientale e sociale”, perché “la finestra si sta restringendo” e i progetti per nuove attività minerarie ed estrattive “devono davvero essere portati avanti nei prossimi due anni per essere pronti entro il 2030″.

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