Da diversi anni ExxonMobil starebbe ingannando gli investitori sulla valutazione dei rischi ambientali connessi alle sue attività: questa, in sintesi, l’accusa mossa dal procuratore generale dello Stato di New York, Barbara Underwood, nella causa legale avviata contro il colosso petrolifero americano.
Negli atti depositati presso la Corte Suprema di New York dopo tre anni d’indagini (documento completo allegato in basso, qui una nota stampa), il procuratore evidenzia lo “schema fraudolento” che avrebbe orchestrato la compagnia Usa.
Con l’obiettivo, spiega l’accusa, di convincere gli azionisti che le decisioni d’investimento prese dalla società avevano tenuto in piena considerazione l’impatto economico delle norme antinquinamento sempre più severe che il governo, con ogni probabilità, avrebbe imposto per combattere i cambiamenti climatici.
In realtà, secondo la procura, ExxonMobil si stava comportando nella maniera opposta.
Il procedimento avviato da Barbara Underwood riassume alcuni temi ricorrenti nel dibattito sulle responsabilità ambientali dell’industria fossile: tra questi, la scarsa trasparenza nella divulgazione dei dati finanziari e la sottovalutazione dei rischi associati alle crescenti emissioni di gas-serra.
In altre parole, le grandi aziende attive nel gas, petrolio e carbone, in molti casi, continuano a operare senza valutare in modo corretto le conseguenze del surriscaldamento globale sui loro modelli economici (vedi anche QualEnergia.it).
Una tassa sulla CO2, ad esempio, avrebbe degli effetti molto negativi sui profitti delle imprese che hanno investito ingenti somme nell’esplorazione di nuove risorse fossili.
Il documento depositato alla procura di New York spiega in dettaglio le presunte trame di Exxon.
La compagnia raccontava agli investitori di applicare nei piani finanziari il cosiddetto “proxy cost of carbon”, un costo delle emissioni di anidride carbonica progressivamente più elevato. Tuttavia stava mentendo, perché poi inseriva un costo molto inferiore rispetto a quello dichiarato pubblicamente.
Exxon, quindi, secondo il procuratore (traduzione nostra dall’inglese) “ha fatto credere agli investitori che la compagnia stava gestendo i rischi legati alle norme sui cambiamenti climatici mentre, di fatto, stava sistematicamente e intenzionalmente sottostimando o ignorando quei rischi, a dispetto delle affermazioni rese in pubblico”.
Così Exxon avrebbe fatto carte false: da un lato, rassicurava gli azionisti – tra cui fondi pensione, società assicurative, fondi sovrani – sulla sicurezza a lungo termine degli investimenti, dall’altro sapeva benissimo di essere esposta ai futuri rischi climatici (climate risk) molto più di quanto fosse disposta ad ammettere.
La presunta frode, si legge nel documento preparato da Barbara Underwood, avrebbe coinvolto i massimi vertici della compagnia, tra cui Rex Tillerson, ex amministratore delegato di Exxon poi nominato Segretario di Stato da Donald Trump (ha lasciato l’incarico lo scorso marzo).
Tillerson, infatti, secondo l’accusa era consapevole che il costo del carbonio utilizzato nei piani finanziari aziendali era ben più basso in confronto a quello divulgato all’esterno.
Poi Exxon avrebbe anche impiegato un “metodo alternativo”: non applicare alcun costo crescente del carbonio, assumendo che le restrizioni ambientali non si sarebbero aggravate per un tempo indefinito.
Gli impatti economici di tale condotta sarebbero molto rilevanti, precisa il procuratore, che cita l’esempio di 14 progetti per l’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose in Canada.
Evitando di applicare il “vero” costo stimato del carbonio, Exxon ha potuto omettere dal business plan circa 25 miliardi di dollari di future spese associate alle emissioni di CO2 di quei progetti. Lo stesso ha fatto per altri giacimenti di oro nero, sempre in Canada.
Allontanando così il rischio di stranded asset: il significato letterale è “beni incagliati” e si riferisce alle infrastrutture del mondo fossile – pozzi petroliferi, miniere di carbone, gasdotti eccetera – che molto probabilmente diventeranno obsolete e antieconomiche nel volgere di qualche anno, perché saranno colpite dalla concorrenza delle fonti rinnovabili e dalle misure antinquinamento varate dai singoli governi.
Invece, Exxon in tante occasioni avrebbe sovrastimato la vita utile economica dei suoi progetti, così come avrebbe gonfiato i dati sulle riserve di greggio e di conseguenza sui futuri profitti.
Così il procuratore chiede in primo luogo al tribunale newyorkese di ordinare a Exxon di dichiarare la verità agli investitori, correggendo tutte le passate inesattezze e smettendo di rappresentare in modo fuorviante i rischi ambientali che riguardano le sue attività.
Lapidario il commento di Exxon, che in una nota stampa parla di accuse (traduzione nostra dall’inglese) “che sono il frutto di attività lobbistiche legate a speciali interessi, di opportunismo politico e dell’incapacità del procuratore generale di ammettere che un’indagine durata tre anni non ha scoperto alcun reato”.