Il fotovoltaico italiano e quel pasticcio dei terreni agricoli

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La norma che esclude dagli incentivi il FV a terra su aree agricole penalizza anche progetti su cave dismesse e bacini idrici. "Stiamo lavorando con il Governo per cambiarla", annuncia il senatore Girotto.

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Gli installatori di fotovoltaico in Italia cominciano ad odiare le “aree agricole”.

Non è che ce l’abbiano con l’agricoltura o i contadini, ma con una norma mal pensata del decreto Fer 1 che sta rendendo difficile fare grandi impianti FV nel nostro paese, come dimostra, fra l’altro, la scarsa adesione alle prime aste bandite dal GSE per gli impianti da incentivare con tariffa fissa, e i prezzi alti, 56 €/MWh di media nella seconda asta, molto maggiori che in Germania.

Uno dei principali colpevoli di questo mezzo disastro è il divieto per gli impianti FV a terra realizzati su  terreni agricoli  di accedere agli incentivi, e quindi a tariffe più alte di quelle di mercato, così come stabilito nel decreto Fer 1 e nell’ articolo 65 del DL 24 gennaio 2012 n. 1, il cosiddetto “Decreto liberalizzazioni”.

“E che c’è di male in questo?”, diranno in molti, soprattutto quelli che con i loro Comitati del No hanno spinto per far adottare questa limitazione, introdotta ai tempi del quinto conto energia e reiterata che si è voluto mantenere nel DM 4 luglio 2019 attualmente in vigore: “Eviteremo in questo modo di ricreare altri ‘deserti blu’, come quelli fatti nascere in Puglia ai tempi del conto energia, e installeremo felici su tetti, discariche e terreni degradati, lasciando in pace gli ubertosi campi della penisola”.

Peccato che le cose siano state fatte, al solito, “all’italiana”.

«Persino in Italia Solare c’è chi amerebbe vedere il fotovoltaico installato solo sui tetti», ci rivela l’avvocato Francesco Pezone, consigliere dell’associazione. «Va detto che questo rende impossibile raggiungere i grandi numeri di nuova potenza installata di cui abbiamo bisogno per rispettare gli impegni al 2030. Arrivare ai GW a colpi di pochi kW per impianto è dura, come dimostrano le poche centinaia di MW realizzati annualmente in questi ultimi tempi».

Certo, sui terreni agricoli si può ancora installare, rinunciando all’aiuto dello Stato (cioè del decreto Fer 1). Ma in Italia, per motivi economico-finanziari, burocratici e bancari, fare grandi impianti a terra non incentivati, per esempio con i PPA, è ancora molto difficile, e quindi ben pochi ci provano.

«Invece chi installa impianti solari su tetti o terreni non agricoli, per poter partecipare alle aste, mancandogli lo spazio, finisce per farne di più piccoli e più costosi, e quindi chiede remunerazioni alte, con il risultato che “il paese del Sole” deve pagare più degli altri l’energia solare», ci dice Pezone.

Ma tutto questo rientrerebbe nell’ordinaria irrazionalità italica: il vero paradosso comincia quando si prova a capire cosa si intenda da noi per “terreni agricoli”.

«Una mia cliente torinese, l’autunno scorso, aveva già tutto pronto per installare tre grandi impianti solari in cave dismesse intorno alla città, partecipando alle aste. Ma ha scoperto con sorpresa che le cave (come accade molto spesso, ndr) sono considerate “terreno agricolo” al catasto, anche se del tutto inadatte alla coltivazione, a meno di non compiere costosissime operazioni di bonifica, che nessuno farà mai perché non sono convenienti. La stessa norma impedisce anche di installare su discariche dismesse, se, come quasi sempre avviene, sono terreni “agricoli”».

La cliente di Pezone ha atteso finora per vedere se al governo o al Gse qualcuno avesse un lampo di lucidità e cambiasse la norma o la sua interpretazione, ma pare che ciò non sia avvenuto, per cui ha dovuto rinunciare.

«Questa norma impedisce di usare per il solare proprio quei terreni che sarebbero i più adatti: ferite nel paesaggio e suoli contaminati inutilizzabili per la coltivazione. Se non si può installare lì, per sostituire quella potenza, prima o poi toccherà farlo su veri terreni agricoli. E pensare che con i vecchi conti energia, costruire in cave e su discariche era addirittura premiato con incentivi extra, proprio per riconoscere questo servizio al territorio», conclude Pezone.

In realtà la norma sui terreni agricoli può provocare effetti ancora più surreali del far finta che luoghi dove non si riuscirebbe a coltivare neanche un ravanello, siano come biondi campi di grano o vigneti.

«Volevamo realizzare un grande impianto fotovoltaico galleggiante, un progetto tutto italiano, su un bacino che raccoglie acqua piovana per l’irrigazione di un’azieda agricola innovativa», ci racconta Enrico Carniato, amministratore di Upsolar Italia.

«Sarebbe stato il primo impianto solare galleggiante di grandi dimensioni nel nostro paese, apripista di una tecnica che sta esplodendo in tutto il mondo, e che consentirebbe all’Italia di realizzare decine di GW di fotovoltaico sulle migliaia di suoi bacini idrici, senza consumare un metro quadro di terreno, e riducendo anche le perdite causate dall’evaporazione. Ma non potremo farlo, senza poter partecipare alle aste i conti non tornano».

E perché non possono? Perché anche i bacini idrici sono considerati “aree agricole”, nonostante, a parte alghe e ninfee, non ci si possa coltivare nulla.

Quindi l’Italia, che pure era partita fra le prime con il fotovoltaico galleggiante, adesso rischia di diventare l’ultima ad utilizzarlo, naturalmente importando la tecnologia, perché nel frattempo avremo fatto fallire i produttori nostrani, impedendogli di fare “volume” con il mercato interno. Altro bel colpo alla Tafazzi al nostro sistema produttivo delle rinnovabili!

«Tutto questo ribadisce come la scelta di indicare genericamente come proibiti al FV incentivato i “terreni agricoli”, anche se sono cave, discariche o bacini, si stia rivelando un errore clamoroso, che tradisce del tutto lo spirito della norma, pensata per proteggere i veri terreni agricoli di pregio, non quelli definiti tali solo sulla carta», dice Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente e tra i curatori del “Rapporto Cave” (pdf) del 2019.

L’enormità di questo errore, però, comincia pian piano, anche se troppo lentamente, a filtrare anche ai legislatori.

In Sicilia, per esempio, si sono accorti che la norma impediva anche di realizzare impianti solari su terreni aridi o sassosi, in cui nessuno ha coltivato e mai coltiverà nulla.

«Nel prossimo piano energetico regionale, ora in discussione fra le parti, vorremmo inserire una norma che consenta alla Regione di cambiare automaticamente la definizione catastale dei terreni agricoli inutilizzabili a quello scopo, come appunto cave, discariche o terreni marginali», spiega Roberto Sannasardo, Energy manager della regione Sicilia. «In questo modo, per esempio indicando quel terreno come “industriale”, inteso come destinato alla sola produzione di energia rinnovabile, si aggirerebbe molto semplicemente il veto del Fer 1, moltiplicando le installazioni».

Vedremo se la Sicilia riuscirà a percorrere questa semplice strada, superando perplessità legislative, conflitti di attribuzione con lo Stato e le inevitabili resistenze anti-fotovoltaico, che di certo non mancheranno.

Per fortuna, però, intanto anche a livello nazionale qualcuno sta pensando di intervenire.

«Dobbiamo cogliere le opportunità di sostenibilità e investimenti che determina lo sviluppo delle rinnovabili», ci fa sapere il senatore Gianni Girotto, presidente Commissione Industria, Commercio, Turismo del Senato. «Per questo stiamo lavorando con il Governo per ampliare la platea degli impianti che potranno accedere agli incentivi, tra i quali quelli realizzati su discariche, cave, aree dichiarate quali siti di interesse nazionale, oltre a vasche e bacini idrici non vincolati».

L’idea, pare, sia quella di realizzare un emendamento ad hoc e inserirlo in uno dei futuri decreti per far ripartire l’economia italiana post covid-19. Sarebbe la via più breve, capace di chiudere, se comprenderà abbastanza categorie di “terreni finti agricoli” da sbloccare, questo spettacolo da teatro dell’assurdo, prima che faccia danni troppo gravi.

Per adesso, però, si sa che gli emendamenti al prossimo decreto Rilancio, da 8000 sono stati sforbiciati a “soli” 1200. Chissà se vi doveva entrare anche questo e se sia sopravvissuto ai tagli.

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