Fonti fossili come testate nucleari: “serve un trattato di non proliferazione”

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Una campagna internazionale propone di considerare carbone, gas e petrolio come le armi nucleari: una minaccia per la vita umana.

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Può darsi che la soluzione per uscire da carbone, gas e petrolio e investire tutto nelle energie rinnovabili, arriverà con una sorta di trattato di non proliferazione dei combustibili fossili?

È l’idea della campagna fossilfueltreaty. L’iniziativa, che in queste settimane sta prendendo piede negli Stati Uniti e che già conta tra i suoi sostenitori svariate decine di organizzazioni a livello internazionale fa infatti un parallelo con il trattato di non proliferazione delle armi nucleari di 50 anni fa.

Le città di New York e Los Angeles stanno valutando delle mozioni per aderire alla campagna.

Il punto, si spiega sul sito web dell’iniziativa, è che i combustibili fossili, al pari del nucleare, costituiscono una minaccia per la vita umana a causa dei loro impatti devastanti sul Pianeta: distruzione di ecosistemi, aumento delle emissioni di gas-serra, contributo al surriscaldamento terrestre, inquinamento, guerre.

L’uscita dalle fonti fossili, secondo i promotori della campagna, potrebbe avvenire in tre passaggi.

Non proliferazione, vuol dire, innanzitutto, stop alla ricerca di nuove risorse di carbone, gas e petrolio; eliminazione graduale delle attività esistenti di produzione e distribuzione di fonti fossili su scala globale, con relativi sussidi pubblici (global disarmament); sviluppo degli investimenti in tecnologie pulite nell’ambito di una transizione equa e capace di coinvolgere lavoratori e comunità (peaceful transition).

 

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