Il 13 ottobre si è celebrata la Giornata internazionale per la riduzione del rischio da disastri naturali e sull’onda comunicativa di questo appuntamento l’Anev ha lanciato una campagna contro le “fake news” riguardanti l’eolico.
“Una cattiva informazione, a tutti i livelli e di ogni genere, crea un rallentamento delle politiche virtuose che possono favorire proprio la prevenzione del rischio climatico”, spiega a QualEnergia.it il presidente dell’associazione, Simone Togni.
Da qui nasce un progetto divulgativo sui social network con il quale si vogliono fornire “elementi scientifici di corretta informazione”.
La fake news ha la caratteristica di “distorcere gli aspetti industriali e tecnologici di un impianto, rendendo impossibile percepire quanto sia vantaggioso uno sviluppo basato sulle fonti rinnovabili”.
La recente attualità porta l’attenzione sulla Sardegna e sulle forti contestazioni all’eolico che si stanno susseguendo nell’isola (vedi anche Sardegna, contestazioni contro l’eolico al calor bianco e un sabotaggio. Dove si vuole arrivare?) . “Sentiamo dire che realizzare impianti non lascia niente ai territori”, sottolinea Togni, “ma non è così! Resta molto, invece. Basti pensare all’occupazione locale che si crea sia per l’installazione sia per la manutenzione dei parchi”.
Allargando il ragionamento, “generare energia pulita significa produrre benefici economici per la collettività in termini di riduzione della bolletta energetica, come accade in altri Paesi europei”. Da questo punto di vista bisogna smontare l’idea che le rinnovabili siano una spesa sociale legata all’incentivazione: “Fino al 2020 i sostegni ricevuti sono serviti per portare le Fer a un salto tecnologico e a produrre oggi con costi più bassi delle fossili (leggi anche Infodata Energia). Il prezzo di borsa in Italia è mediamente di 100 euro a MWh, mentre nelle aste Gse abbiamo visto che l’aggiudicazione delle tariffe fisse è di circa 75 euro a MWh”, sottolinea il presidente di Anev.
Il caso della Sardegna ha portato all’attenzione generale anche l’idea che gli impianti eolici ostacolino le operazioni antincendio o lo sviluppo di agricoltura e allevamento. “Al contrario, le strade di accesso agli impianti che creano gli operatori sono utili al passaggio dei mezzi di soccorso in caso di emergenze, e aiutano gli agricoltori a raggiungere aree che in precedenza erano di difficile accesso per la coltivazione”. Inoltre, prosegue Togni, “i siti sono videosorvegliati e controllati costantemente, potendo così allertare le autorità in caso di qualsiasi problema nelle zone dove è presente l’eolico”.
Tra le contestazioni maggiori c’è il tema del consumo di suolo, anche se “l’eolico prende solo poche centinaia di metri; dati imparagonabili con centrali a fonte fossile o, per cambiare genere, centri commerciali”; strutture che spesso sono ridondanti rispetto alla reale esigenza locale.
Poi ci sono le nuove tecnologie che consentono di intervenire nei siti dove l’eolico è già presente, riducendo il numero di aerogeneratori necessari ma aumentando al contempo la capacità produttiva.
È la scelta sostenuta, ad esempio, dalla Regione Campania, dove il presidente Vincenzo De Luca ha da poco annunciato il via libera in Giunta dato a un intervento di repowering per un sito eolico nel Sannio. Qui le pale scenderanno da 97 a 17 aumentando da 58 a 103 i MW installati.
Le aree liberate saranno ripristinate nella loro forma originaria, anche perché “in Italia, solo per l’eolico, c’è l’obbligo di ripristino del paesaggio al fine vita della tecnologia, di solito vent’anni, riportando il territorio alla sua situazione iniziale”, come ricorda il presidente Anev.
La fake news sull’eolico in Europa
Non si parla di una questione esclusivamente italiana. A confermarlo a QualEnergia.it è Pierre Tardieu, chief policy officer di WindEurope. “Le fake news stanno influenzando sempre di più i dibattiti pubblici in tutta Europa e i discorsi sull’energia dal vento non fanno eccezione. Narrazioni sbagliate sono ampiamente condivise sui social media, travisando il positivo impatto dell’eolico sulla società e sulla natura. Ad esempio, secondo una narrazione popolare, la maggior parte delle pale delle turbine finisce nelle discariche dopo aver raggiunto la fine del suo ciclo di vita. Tuttavia, le immagini e i video che circolano online provengono dagli Stati Uniti e dall’Australia”.
In Ue invece “la stragrande maggioranza delle vecchie pale viene riciclata o riutilizzata e l’industria eolica europea ha chiesto un divieto autoimposto di discarica”.
Tardieu sottolinea però come a questa forma di sindrome Nimby (not in my back yard), corrisponda in tanti territori una tendenza Pimby (please in my back yard), visto che “la stragrande maggioranza degli europei sostiene l’energia eolica”.
Ad esempio, “i tassi di approvazione sono particolarmente elevati laddove sono stati distribuiti grandi volumi di siti e nella Germania settentrionale circa l’80% delle persone sostiene la costruzione di più parchi nel proprio territorio”. L’industria settoriale, dal canto suo, “sta collaborando con vari stakeholder per affrontare questo problema e promuovere discorsi sull’energia eolica basati sui fatti”.
La riciclabilità degli impianti
Sicuramente il tema delle fake news si vede in Sardegna, come ci spiega Nicola Armaroli, direttore di Ricerca Cnr, che sottolinea come il confine geografico della disinformazione sia comunque labile visto che la campagna nell’isola “è diventata virale” (vedi anche Fotovoltaico ed eolico, bistrattati ma alla prova dei fatti vincenti).
Un caleidoscopio di fatti poco verificati, a volte, che genera incomprensioni: “Ad esempio, c’è confusione tra consumo di suolo e impatto visivo”; poiché è troppo semplice pensare “siccome le pale si vedono allora occupano spazio. Chiunque abbia viaggiato in nord Europa ha visto migliaia di pale con sotto campi coltivati e allevamenti”.
Anche l’aspetto del paesaggio, che ha delle inevitabili connotazioni soggettive, deve essere affrontato senza strumentalizzazioni: “Sicuramente in un Paese come il nostro bisogna avere attenzione ma non si può raccontare che ci sia un impatto se la pala viene messa in mare a 20 km dalla costa”.
La complessità della questione rende l’idea di quanto sia facile distorcere la questione stessa. L’esempio, in questo senso, Armaroli lo fa sul confronto tra fossili e sistemi di accumulo o conversione, fondamentali per lo sviluppo delle rinnovabili: “Quello che non passa è che i materiali rari necessari a costruire queste tecnologie si estraggono solo una volta e poi si riciclano oltre il 90%, dunque si riutilizzano. In quest’ottica non c’è lo spauracchio della disponibilità di materiali, se c’è il riciclo”.
Tutto ciò “a differenza di qualunque tecnologia basata o alimentata sulle fossili, che ha continuamente bisogno di petrolio, gas o carbone per lavorare”.