L’Europa e il clima alla prova del post-Timmermans: quali scenari?

Il governo olandese dovrebbe nominare a breve il nuovo candidato a commissario Ue. Si parla di Wopke Hoekstra, attuale ministro degli Esteri dei Paesi Bassi. Una nomina che rischia di dare più spazio alle voci critiche sul Green Deal e sulle politiche ambientali.

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Come sarà il futuro delle politiche verdi europee dopo il vuoto lasciato da Frans Timmermans?

C’è molta incertezza al riguardo. Il governo dimissionario olandese di Mark Rutte dovrebbe nominare a breve il candidato designato a sostituire Timmermans nella Commissione europea: salvo sorprese dell’ultima ora, sarà Wopke Hoekstra, attuale ministro degli Esteri, come riportano diverse fonti di stampa internazionale e olandese poi confermate dallo stesso Rutte.

Questa nomina potrebbe giocare a favore di chi punta a rallentare la corsa green di Bruxelles. Hoekstra è del partito cristiano-democratico (CDA) e fa parte di quello stesso governo conservatore che Timmermans spera di battere nelle elezioni politiche di novembre in Olanda.

Timmermans, “padre” del Green Deal, massimo sostenitore delle norme Ue volte a tutelare l’ambiente e promuovere le energie rinnovabili, ha lasciato l’esecutivo europeo proprio per partecipare alle elezioni nel suo Paese. Sarà il candidato premier del centro-sinistra e dei verdi.

Il suo ruolo a Bruxelles – commissario per il Clima e il Green Deal – è stato intanto assegnato allo slovacco Maroš Šefčovič, classe 1966, socialista, attuale vicepresidente responsabile delle relazioni inter-istituzionali.

La decisione finale sull’eventuale nomina olandese di Hoekstra spetterà comunque alla Commissione Ue; il candidato designato dovrà anche essere ascoltato in Parlamento, dove è presumibile che sarà messo sotto torchio da centro-sinistra e verdi sui temi ambientali.

L’arrivo di Hoekstra a Bruxelles potrebbe, quindi, rimescolare alcune carte del Green Deal e dare più spazio alle voci critiche dei conservatori e del centro-destra, che spingono per ammorbidire la legislazione ambientale europea.

Si guarda già alle elezioni europee di giugno 2024: la destra sta cercando di ottenere consensi tra diverse lobby economiche – allevatori, agricoltori, grandi industrie – che vorrebbero indebolire le ambizioni climatiche di Bruxelles.

Lo scorso luglio c’è stato un primo esempio di quanto questi gruppi di interesse stiano influenzando il partito popolare, perché il Parlamento europeo nel voto sulla direttiva per le emissioni industriali ha bocciato l’estensione delle norme agli allevamenti bovini, responsabili di elevate quantità di emissioni di metano, un potente gas serra.

Ciò ha segnato una vittoria per conservatori e Ppe; lo stesso fronte di centro-destra ha cercato poi di ostacolare il voto del Parlamento sulla legge per il ripristino degli ecosistemi, ma in quel caso è passata la proposta della Commissione europea.

Con l’uscita anticipata di Timmermans, il rischio di una Commissione Ue indebolita sul versante climatico diventa più concreto.

Ci sono diversi temi urgenti da affrontare e risolvere. Oltre alla citata battaglia tra fronte ambientalista e lobby di agricoltori, allevatori e industriali, c’è da fissare l’obiettivo intermedio al 2040 sulla riduzione delle emissioni di CO2.

La Commissione dovrebbe proporre un target entro la fine del suo mandato, quindi avrà pochi mesi per riuscirci. Ora c’è un vuoto tra l’obiettivo 2030 (-55% di emissioni rispetto al 1990) e quello della neutralità climatica al 2050 (azzeramento delle emissioni nette).

È un passaggio molto importante, necessario per guidare le politiche europee verso l’uscita dai combustibili fossili, anche in vista della prossima conferenza globale Onu sul clima, la CoP28 che si terrà a Dubai tra fine novembre e inizio dicembre.

Qui scatta un altro interrogativo: quale sarà la voce europea nei negoziati climatici? E quale sarà il suo peso?

Finora è stato Timmermans a rappresentare i 27 Stati membri nei vertici internazionali sul cambiamento climatico, sempre in prima linea nel proporre impegni più ambiziosi su fonti rinnovabili e abbandono delle energie fossili.

Sarà difficile fare a meno dell’esperienza di Timmermans e delle relazioni che ha stretto con i delegati delle altre potenze mondiali, in particolare l’americano John Kerry e il cinese Xie Zhenhua.

Più in generale, bisognerà vedere quale atteggiamento prenderà la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, dopo aver perso Timmermans e con le crescenti pressioni del suo stesso partito, il Ppe, per allentare le ambizioni green dell’Europa.

Nel suo discorso allo Stato dell’Unione, previsto per metà settembre, avremo sicuramente qualche indicazione per capire meglio dove tira il vento.

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