L’Europa sarà in grado di aprire un nuovo ciclo di politiche per il clima?

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Il rinvio del voto decisivo sulla legge per il ripristino della natura è un altro indicatore delle attuali difficoltà del Green Deal. Scenari e raccomandazioni quando mancano poco più di due mesi alle elezioni Ue.

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Il futuro del Green Deal europeo è sempre più incerto quando mancano poco più di due mesi alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Ue (8-9 giugno in Italia).

Un altro segnale di questa incertezza è arrivato venerdì scorso, 22 marzo, quando si è deciso di rinviare il voto decisivo al Consiglio Ue, previsto per oggi, lunedì 25 marzo, sulla Nature Restoration Law, la legge per il ripristino della natura.

La decisione è stata presa dal Coreper, l’organo che coordina e prepara i lavori del Consiglio ed è composto dai “rappresentanti permanenti” (gli ambasciatori) dei governi dei 27 Stati membri.

Il voto avrebbe dovuto essere una formalità, poiché lo scorso novembre i negoziatori di Parlamento e Consiglio avevano raggiunto un accordo politico sul testo, che poi era stato approvato a Strasburgo a fine febbraio 2024. Tuttavia, riferisce l’agenzia Euractiv, “manovre politiche dell’ultimo minuto” hanno bloccato la nuova legge, la cui approvazione potrebbe slittare dopo le elezioni europee di giugno.

È stata l’Ungheria a ritirare per prima il suo appoggio al provvedimento, è emerso dalla riunione dei diplomatici Ue del 22 marzo, mentre diversi altri Paesi si sono opposti o si sono astenuti (Svezia, Polonia, Finlandia, Paesi Bassi, Belgio, Austria e Italia).

La Nature Restoration Law, ricordiamo, ha avuto un iter molto tortuoso, perché si è scontrata con gli interessi delle lobby agricole sostenute dai partiti conservatori.

Tra i suoi punti più importanti, stabilisce che gli Stati membri debbano ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni (come foreste, praterie e zone umide) entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050.

È prevista la possibilità di sospendere temporaneamente le misure volte a migliorare la biodiversità degli ecosistemi agricoli (come l’inserimento di elementi naturali che favoriscono la presenza di avifauna e uccelli: siepi, filari di alberi, piccole zone umide e così via) in circostanze eccezionali, se gli obiettivi di ripristino possono compromettere la produzione alimentare e renderla inadeguata ai consumi europei.

L’opposizione alla legge per il ripristino della natura è un buon indicatore di quanto le politiche verdi stiano attraversando una fase delicata.

Lo scrive anche Agora Energiewende, think tank tedesco specializzato nelle analisi su energia e clima, in un recente documento sulle priorità politiche green della prossima legislatura europea.

“Sembra che il sostegno politico a nuove e più ampie iniziative di politica climatica si stia erodendo”, evidenziano gli autori. “Ciò riflette sia il rifiuto [delle politiche green] degli interessi dominanti, in un sistema energetico basato sui combustibili fossili, sia la circostanza che tagli più profondi alle emissioni di gas serra influenzeranno più direttamente la vita dei cittadini e quindi dovranno essere collegati a interessi sociali ed economici molto diversi”.

Come sarà il ciclo politico Ue del 2024-2029 in tema di energia e ambiente? A novembre si insedierà il nuovo esecutivo comunitario: intanto l’attuale presidentessa della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nelle scorse settimane ha ufficializzato la sua ricandidatura con quello stesso PPE (Partito popolare europeo) che in più occasioni aveva iniziato a remare contro alcune iniziative del Green Deal.

Lo scorso luglio, ad esempio, i popolari, sempre più attenti a cercare consensi tra le lobby industriali focalizzate sul mantenimento dello status quo (economico, industriale, tecnologico), erano riusciti a depotenziare la direttiva sulle emissioni industriali, bocciando la proposta di estendere la sua applicazione agli allevamenti bovini, responsabili di elevate emissioni di gas serra.

Il PPE si è espresso diverse volte contro il nuovo regolamento sulle auto, che prevede che dal 2035 si possano vendere solo nuove vetture a emissioni zero, quindi 100% elettriche.

Pure la sua posizione sulla direttiva delle “case green” è rimasta in bilico fino all’ultimo, tanto da far temere che l’approvazione della direttiva potesse saltare nel voto in plenaria a Strasburgo.

È evidente che i giochi politici in vista della tornata elettorale siano molto complessi e sfumati, con uno spostamento verso programmi più conservatori, attenti a non scontentare gli umori di imprenditori, associazioni industriali, agricoltori, allevatori (i continui appelli alla “neutralità tecnologica” senza obblighi su determinate soluzioni, come il 100% elettrico nelle auto, sono un chiaro sintomo di questa svolta anti-ambientalista).

Eppure, afferma Agora Energiewende, “l’Europa deve considerare la crisi climatica in tutti gli ambiti politici – dalla sicurezza alla pianificazione fiscale, dall’agricoltura allo sviluppo industriale – cercando soluzioni fattibili per raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni entro metà secolo”.

Dopo le elezioni di giugno, in particolare, Bruxelles dovrà presentare una proposta legislativa su come ridurre del 90% le emissioni di CO2 al 2040. Inoltre, dovrà garantire più cospicui finanziamenti per la transizione energetica pulita nel bilancio 2028-2034, allineando maggiormente i fondi agli obiettivi climatici.

Secondo il think tank tedesco, servirà un nuovo “fondo per il clima” finanziato con debito Ue e con i proventi del mercato ETS.

Tra le priorità delle prossime iniziative politiche: sostegno alle tecnologie per elettrificare direttamente i consumi energetici finali (con una grande spinta alle pompe di calore); accelerare gli investimenti in fonti rinnovabili; definire una strategia geopolitica per la transizione net-zero; prepararsi all’uscita dai combustibili fossili.

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