Eni e gli altri big fossili: ecco perché i loro piani di decarbonizzazione non sono credibili

Il cane a sei zampe sostiene di puntare sulle rinnovabili, ma continua a investire in petrolio e gas. Le analisi di Reclaim Finance.

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Eni, Bp, Equinor, Repsol, Shell, Total: le sei maggiori compagnie oil & gas europee non hanno intenzione di iniziare ad abbandonare i combustibili fossili a breve termine, anche se tutte si sono impegnate, con piani, a loro detta “credibili”, per azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050.

Lo rivela il nuovo rapporto di Reclaim Finance, organizzazione no-profit specializzata nelle analisi sulla transizione energetica, intitolato Major Failure (link in basso ai Company Briefings con i dati sulle singole aziende).

Il punto è che non basta fissare un traguardo lontano, il 2050, in cui le emissioni di anidride carbonica saranno azzerate.

Il percorso conta ancora di più della destinazione finale, ma nessuna delle grandi società petrolifere citate da Reclaim Finance sta seguendo il percorso giusto.

Per “giusto” si intende un cammino che prevede di ridurre progressivamente la produzione di risorse fossili su scala globale, spostando progetti e investimenti sulle tecnologie a basso impatto ambientale, fonti rinnovabili in primis.

Al contrario, Eni e le altre aziende continueranno a investire in nuove risorse di petrolio e gas nei prossimi anni.

E ciò le porterà a esaurire interamente, al più tardi entro il 2035, i loro budget di CO2.

In altre parole: in pochi anni, a causa delle loro attività fossili, le sei compagnie avranno emesso una quantità complessiva di CO2 incompatibile con gli obiettivi climatici internazionali, che prevedono di contenere il surriscaldamento globale a +1,5 °C rispetto alla temperatura media terrestre in età preindustriale.

Si parla, infatti, di “overshoot”, superamento del budget di CO2. Eni, ad esempio, nel 2050 avrà emesso il 45% di anidride carbonica in più rispetto alla quota assoluta a sua disposizione, mentre Repsol avrà sforato addirittura del 78% come riassume il grafico sotto.

Secondo ReCommon (associazione che ha contribuito, con Greenpeace Italia, al rapporto di Reclaim Finance), la strategia di decarbonizzazione di Eni “è solo fumo negli occhi e greenwashing”, perché è impossibile raggiungere il traguardo net-zero se si mantengono e addirittura espandono gli investimenti fossili nel breve e medio periodo.

Difatti, si legge in una nota, anche se Eni si è impegnata a ridurre del 50% entro il 2024 le emissioni del settore esplorazione e produzione di idrocarburi, e a diminuire del 15% entro il 2030 l’intensità media di carbonio dei prodotti energetici venduti, questi obiettivi non impediranno alle emissioni assolute del cane a sei zampe di aumentare rapidamente nel breve termine.

Insomma, Eni dice una cosa e ne fa una totalmente diversa, mentre spinge sul marketing “verde” per distrarre le attenzioni dal suo core business più inquinante.

Solo una piccola parte (8%) degli annunci pubblicitari di Eni promuove i combustibili fossili, anche se questi ultimi rappresentano la fetta maggiore (80% circa) del suo portafoglio di attività.

Ricordiamo poi che a novembre 2021 il Tar del Lazio ha confermato che Eni dovrà pagare la multa da 5 milioni di euro per la pubblicità ingannevole del Diesel+, presentato come “green” anche se non garantisce alcun beneficio ambientale.

Peraltro, Eni per tagliare le emissioni punta molto su una tecnologia costosa e che finora non ha dato i risultati sperati, la cattura della CO2 e il suo stoccaggio sotterraneo (CCS: Carbon Capture and Storage). E fa anche molto affidamento sulle misure di compensazione (offset), soprattutto quelle forestali, anziché concentrare gli sforzi sul ridurre in termini assoluti le emissioni.

Il colosso petrolifero italiano, aggiunge ReCommon, “sta attualmente sviluppando nuovi giacimenti di petrolio e gas fossile che, sulla base dei dati conservativi di Rystad, porteranno come minimo a un aumento della produzione del 3,5% da oggi al 2024″.

In totale, la produzione oil&gas di Eni crescerà del 13% circa al 2030, in confronto ai livelli del 2016.

Intanto Eni ha appena segnato il record di profitti degli ultimi 10 anni, grazie anche ai prezzi di gas e petrolio alle stelle: nel 2021 ha registrato un utile netto adjusted di 4,7 miliardi di euro. “Il più alto dal 2012, quando il Brent superò 110 $/barile”, ha rimarcato la stessa azienda nella presentazione dei risultati.

Anche questo è un tema su cui riflettere: perché il Governo italiano ha deciso di colpire gli extra profitti delle rinnovabili, lasciando però fuori i super guadagni dei produttori fossili?

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