Direttiva sulle case green: gli attacchi e perché invece deve essere un’opportunità

  • 19 Gennaio 2023

In Italia, soprattutto dalla destra al governo, sono fioccate critiche contro la proposta Ue sui nuovi standard di efficienza energetica degli immobili. Le reazioni e cosa si potrebbe fare per andare incontro alle richieste europee e alla riqualificazione delle abitazioni.

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La nuova direttiva Ue sulle case green deve ancora essere discussa e approvata – il voto in commissione Energia al Parlamento Ue è slittato al 9 febbraio – ma ha già scatenato un fiume di critiche e polemiche in Italia, soprattutto da parte della destra al governo.

È quindi partito un attacco contro le norme europee che dovrebbero favorire una riqualificazione energetica più accelerata e sistematica degli edifici.

In questo attacco, però, si è perso di vista quello che è lo scopo più importante della direttiva: creare nuove opportunità per investire in abitazioni più efficienti e confortevoli, in grado di abbassare i consumi di energia e quindi le bollette.

Obiettivi, questi, che si potrebbero ottenere con un piano nazionale edilizio incentrato su regole chiare e incentivi fiscali stabili nel tempo, anziché continuare a spendere miliardi di euro per tamponare il caro energia con misure eccezionali e transitorie, che non risolvono i problemi in modo definitivo.

Si è parlato, invece, tra gli esponenti di Fratelli d’Italia, di “attacco alla casa e ai diritti dei proprietari” (senatrice Simona Petrucci) e di “patrimoniale camuffata” (capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti). La stessa Confedilizia ha definito la direttiva una “eco-patrimoniale europea”.

Nel mirino dei contestatori sono finite le misure che fissano standard minimi di efficienza energetica più elevati, prevedendo che gli immobili residenziali più vecchi e inefficienti debbano passare almeno in classe E entro il 2030 e in classe D entro il 2033 (si veda, Verso l’approvazione della nuova direttiva green sugli edifici: cosa prevede?).

La maggioranza ha anche presentato alla Camera due mozioni, una della Lega (primo firmatario Riccardo Molinari) e una di FdI (Tommaso Foti). Queste impegnano il Governo ad adottare le iniziative di sua competenza presso le istituzioni Ue, al fine di scongiurare che sia approvata la direttiva nella sua veste attuale, oltre a far valere le peculiarità del nostro Paese (proprietà immobiliare diffusa e patrimonio edilizio risalente nel tempo).

Secondo la Lega, la direttiva è un “obbrobrio giuridico”.

Confedilizia, in una nota, sostiene che “se la proposta di direttiva non dovesse essere modificata nella parte relativa alle tempistiche e alle classi energetiche, dovranno essere ristrutturati in pochi anni milioni di edifici residenziali, senza considerare che in moltissimi casi gli interventi richiesti non saranno neppure materialmente realizzabili, per via delle particolari caratteristiche degli immobili interessati” .

Nell’immediato, quindi, “l’effetto sarà quello di una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili italiani e, di conseguenza, un impoverimento generale delle nostre famiglie”.

Intanto Ciarán Cuffe, relatore irlandese (Verdi) della proposta di direttiva al Parlamento Ue, ha cercato di smorzare le polemiche e le incomprensioni che stanno circolando nel nostro Paese.

Intervistato dal Sole24Ore, Cuffe ha spiegato che la proposta di direttiva (neretti nostri) “prevede che ciascun paese individui il 15% del parco immobiliare più inquinante (appartenente quindi alla classe G) e che ne migliori l’efficienza energetica”, pertanto “vogliamo che gli edifici con le peggiori prestazioni (cioè appartenenti alle classi G, F ed E), pubblici e non residenziali, raggiungano la classe D entro il 2030. Gli edifici residenziali e di edilizia sociale hanno tempo fino al 2033 o più per raggiungere questo obiettivo”.

Sono previste delle eccezioni, ad esempio per gli immobili storici.

Alla domanda sulle voci, circolate in Italia, che immobili molto inquinanti non potrebbero essere affittati o addirittura venduti, Cuffe ha risposto che “la direttiva non introduce alcun limite di questo tipo. So che legislazioni in questo senso sono state adottate in Francia o in Olanda. La scelta è prettamente nazionale“.

Ciascun Paese, ha aggiunto, “sarà chiamato a mettere a punto il proprio piano nazionale di ristrutturazione degli immobili. In altre parole, l’intero processo sarà guidato dalle condizioni nazionali, e dipenderà dallo stock degli edifici, dalla disponibilità di materiali e di lavoratori. Vogliamo essere certi di non imporre richieste irrealistiche ai proprietari o agli occupanti”.

Sul tema è intervenuto anche il Consiglio nazionale ingegneri (Cni), proponendo, contro i timori sollevati in questi giorni, “un piano di intervento che consenta di realizzare un obiettivo ineludibile, ovvero quello della riduzione dei consumi energetici degli edifici”.

Secondo il Cni, evidenzia una nota, “i tempi non possono essere quelli così stringenti che l’Ue ha in animo di dettare, ma occorre anche definire rapidamente delle controproposte credibili perché non è più il tempo di affrontare questi interventi all’insegna dell’improvvisazione […]”.

Innanzitutto, servono dati più precisi e aggiornati in tempo reale sullo stato effettivo del patrimonio edilizio italiano.

Dal sistema Siape (Sistema informativo degli Attestati di prestazione energetica), si spiega, risulta che oltre il 70% delle strutture residenziali ricade nelle classi G, F ed E, ma questi dati fanno riferimento a 2,5 milioni di APE: “per quanto il dato possa essere rappresentativo e affidabile, occorrerebbe capire con più esattezza quale sia l’esatto perimetro su cui intervenire con maggiore urgenza”, perché lo stock edilizio è di oltre 12 milioni di edifici, per molti dei quali “ci sarebbe la necessità di capire meglio lo stato in cui si trova”.

In sostanza, secondo il Cni, il governo deve proporre “in sede europea un piano circostanziato sulle modalità, sui costi effettivi da sostenere, sul numero esatto di edifici da risanare, sugli edifici che richiedono interventi più urgenti”, attraverso una rilevazione estensiva degli Ape “per quantificare con esattezza il grado di dispersione termica degli edifici” e così identificare le aree più critiche”.

Di conseguenza, sarebbe di fondamentale importanza rivedere e stabilizzare il Superbonus, come suggerisce in un suo intervento Rossella Muroni, presidente di Nuove Ri-Generazioni (associazione dedicata allo sviluppo urbano sostenibile).

In particolare, il Superbonus “andrebbe riformato come proposto per esempio dalla Fillea Cgil, lasciando la cessione del credito […] e la copertura del 100% per i condomini popolari e le fasce con minor reddito (a partire da pensionati, precari, disoccupati, lavoratori poveri), prevedendo percentuali differenziate in proporzione ai miglioramenti e usando come leva di ‘autofinanziamento’ gli stessi risparmi in bolletta”.

Difatti, conclude Muroni, “se il Superbonus venisse stabilizzato, semplificato e legato in modo più stringente al miglioramento della prestazione energetica, al superamento delle barriere architettoniche e agli interventi su condomini e case popolari, gli italiani non dovrebbero temere né i costi delle ristrutturazioni, né una svalutazione del loro patrimonio edilizio”.

In definitiva, si può fare quello che chiede la Ue, a patto di vedere la direttiva come una opportunità non più rimandabile di rinnovare gli edifici italiani. Serve quindi “una politica industriale di ampio respiro, con un sistema strutturale di incentivi mirati”, come ha raccomandato la stessa presidente Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Federica Brancaccio, seppur critica su alcuni punti della direttiva, tra cui i tempi “troppo brevi” per adeguarsi ai nuovi standard.

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