Alla faccia degli accordi di Parigi, si va verso il raddoppio delle fonti fossili al 2030

I numeri dell'Unep sull'espansione di carbone, petrolio e gas entro fine decennio potrebbero affossare i negoziati della Cop 26 di Glasgow.

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Guardando ai numeri appena pubblicati dal “Production Gap Report 2021″ delle Nazioni Unite, viene da pensare che Greta Thunberg abbia ragione nel definire “bla bla bla” gli impegni per il clima presi finora dai leader politici.

Secondo le stime del rapporto, i paesi di tutto il mondo prevedono di produrre circa il 110% in più di combustibili fossili nel 2030, rispetto a quanto sarebbe coerente con il traguardo di un surriscaldamento di +1,5 °C.

Più in dettaglio: +240% di carbone, +57% di petrolio, +71% di gas.

Ed è anche su queste cifre che si dovranno confrontare i governi alla Cop 26 di Glasgow, la conferenza Onu sul clima in calendario dal 31 ottobre al 12 novembre.

Perché sono numeri lontanissimi da quanto promesso da diversi paesi, con i rispettivi traguardi per azzerare le emissioni nette di CO2 intorno a metà secolo. La Cina ad esempio ha un traguardo net-zero per il 2060, mentre l’Europa punta alla neutralità climatica nel 2050.

Il rapporto Unep (United Nations Environment Programme) mostra pertanto un divario enorme tra la quantità di carbone, gas e petrolio che i governi hanno pianificato di estrarre e produrre nei prossimi anni, e il livello di produzione di combustibili fossili compatibile con gli accordi di Parigi.

Questi ultimi, ricordiamo, prevedono di limitare ben sotto 2 °C l’aumento delle temperature medie, rispetto all’età preindustriale, grazie a una progressiva riduzione dell’uso di energie fossili.

I governi, sottolinea il documento, dall’inizio della pandemia hanno speso più di 300 miliardi di dollari per attività legate ai combustibili fossili, molto più del denaro destinato a nuovi investimenti in tecnologie pulite, fonti rinnovabili, efficienza energetica.

Nel rapporto si parla anche di una continua espansione della produzione globale di gas nel periodo 2020-2040, del tutto incompatibile con gli obiettivi climatici.

Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep, ha evidenziato che “c’è ancora tempo per limitare il surriscaldamento di lungo termine a 1,5 °C, ma questa finestra di opportunità si sta chiudendo rapidamente”. Anche perché sostanzialmente nulla è cambiato rispetto alle edizioni precedenti del rapporto.

A dicembre 2020, su queste pagine, presentando il Production Gap Report 2020, scrivevamo che c’era una notevole discrepanza tra quello che i governi dicono di voler fare per il clima, e quello che fanno davvero.

Si chiama greenwashing: succede quando le azioni contraddicono gli impegni annunciati per combattere il cambiamento climatico, ad esempio quando un paese o una multinazionale petrolifera afferma di voler ridurre le emissioni inquinanti impegnandosi marginalmente su efficienza e rinnovabili, ma poi continua a incrementare l’estrazione di carbone, gas, petrolio, che resta il suo core business (vedi la nostra Eni).

Quella discrepanza è rimasta. Sembra che i governi non abbiano ancora riconosciuto che i loro traguardi net-zero richiedono una riduzione forte e immediata dei combustibili inquinanti.

Anche il caro energia in Europa ci ricorda che la soluzione per avere bollette più leggere per famiglie e imprese, e forniture energetiche più sicure, è investire maggiormente in rinnovabili, sistemi di accumulo e infrastrutture di rete, anziché rimanere agganciati alla dipendenza dal gas.

La stessa Agenzia internazionale per l’energia (Iea) è su questa lunghezza d’onda: in tutti i suoi ultimi rapporti sta segnalando che è necessario smettere di investire in nuove risorse fossili e puntare invece sulle tecnologie pulite.

Anche nello scenario Iea Announced Pledges, dove si assume che tutti i paesi che hanno annunciato impegni per azzerare le emissioni nette di CO2 entro metà secolo realizzino pienamente queste ambizioni, il picco dei consumi di energie fossili sarà toccato nel 2025 e le emissioni globali di anidride carbonica saranno diminuite solo del 40% al 2050.

E ciò condurrà a un aumento delle temperature di circa +2,1 °C entro fine secolo, rispetto ai livelli preindustriali, quindi il traguardo di Parigi non sarebbe rispettato.

Eppure, anziché lasciare carbone, gas e petrolio sottoterra, si pianifica un incremento delle attività minerarie e oil & gas. Si vede bene dal grafico qui sotto, tratto dalle analisi dell’Unep.

Si osserva, infatti, un divario assai ampio tra il livello di produzione di fonti fossili compatibile con un riscaldamento di +1,5/2 °C e quello pianificato-previsto su scala globale.

Anche la produzione di fonti fossili prevista dagli attuali impegni sul clima (linea marrone nel grafico), è inadeguata con i traguardi climatici.

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