Cina-Stati Uniti, prove di riavvicinamento partendo dal clima

John Kerry, inviato speciale americano per il clima, in visita per tre giorni a Pechino, sottolinea la necessità di rafforzare la cooperazione tra le due potenze economiche sui temi energetici e ambientali.

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Cina e Stati Uniti potrebbero riavvicinarsi, superando almeno in parte le loro recenti tensioni geopolitiche, grazie a una maggiore cooperazione contro il cambiamento climatico?

È l’auspicio di John Kerry, l’inviato speciale Usa per il clima, che ha parlato ieri, martedì 18 luglio, a Pechino, nel primo giorno della sua visita ufficiale in Cina.

“La crisi climatica – ha scritto Kerry su Twitter al termine dei primi colloqui con i leader cinesi – richiede che le due maggiori economie del mondo lavorino insieme per limitare il riscaldamento terrestre”. Le due potenze economiche, ricordiamo, sono anche i due principali emettitori di CO2 a livello globale.

“Dobbiamo agire con urgenza su una serie di fronti, in particolare sulle sfide poste dall’inquinamento da carbone e metano”, ha aggiunto Kerry.

In un contesto in cui è un eufemismo dire che le relazioni tra Cina e Usa sono piuttosto fredde, quello di Kerry è il terzo viaggio ufficiale in Cina di rappresentanti della Casa Bianca in circa un mese, dopo la visita una settimana fa del segretario del Tesoro, Janet Yellen, e l’incontro a fine giugno tra il segretario di Stato Antony Blinken con il presidente cinese Xi Jinping.

Ora il focus è sulle questioni climatiche, nel pieno dell’ondata di calore che sta investendo intere regioni del Pianeta, Italia compresa.

Le tensioni geopolitiche Usa-Cina hanno riguardato in modo particolare le relazioni commerciali bilaterali, oltre alla sicurezza delle forniture di materie prime strategiche e componenti tecnologici, come i microchip.

A ottobre 2022, gli Stati Uniti avevano imposto delle restrizioni all’export alla Cina di tecnologie avanzate nel campo dei semiconduttori, temendo che Pechino potesse utilizzare queste tecnologie anche per sviluppare armamenti e applicazioni militari.

In queste settimane, sono arrivati altri segnali del deterioramento delle relazioni economiche tra Cina e Occidente, con potenziali impatti su diverse filiere industriali.

Pechino, infatti, ha deciso di eseguire controlli, dal 1° agosto, sulle esportazioni di gallio e germanio per ragioni “di sicurezza nazionale”. Gallio e germanio sono due metalli “di nicchia” ma molto importanti per la produzione di semiconduttori, fibre ottiche, pannelli fotovoltaici, visori notturni e altro ancora.

La Cina ora controlla quasi interamente le forniture mondiali di queste due materie prime (94% del gallio e 83% del germanio).

In tema di energie pulite, gli Stati Uniti (e anche l’Europa) stanno cercando di ridurre la loro dipendenza dalle importazioni cinesi. La risposta americana al colosso asiatico, sul fronte delle tecnologie green, è il ben noto Inflation Reduction Act (Ira), con miliardi di $ in sussidi al solare, all’eolico, ai veicoli elettrici, alle batterie, con diversi premi per il “contenuto locale” di materie prime e produzione di componenti.

Intanto la Cina sta correndo con le fonti rinnovabili: secondo le ultime proiezioni della società di consulenza californiana Global Energy Monitor, Pechino raggiungerà con cinque anni d’anticipo, nel 2025 anziché 2030, il target di 1.200 GW di potenza installata nei grandi impianti eolici e fotovoltaici.

Di cosa discuteranno quindi Kerry e il premier cinese Li Qiang?

Tra i temi più importanti, dovrebbero esserci i seguenti: i rispettivi impegni per ridurre le emissioni di CO2 in vista dei prossimi negoziati Onu sul clima (CoP 28 tra fine novembre-inizio dicembre a Dubai), la riduzione dell’uso di carbone, come limitare le emissioni di metano, il ruolo della finanza climatica per sostenere la transizione energetica nelle economie emergenti.

Non sarà certo una strada in discesa.

Sulla finanza verde, per esempio, finora Pechino ha respinto le richieste occidentali di contribuire con forza agli aiuti finanziari per i Paesi in via di sviluppo, sostenendo che la Cina ha minori responsabilità storiche, rispetto all’occidente, per le emissioni di CO2.

Sul fronte dei combustibili fossili, la Cina punta a ridurre l’impiego di carbone, ma non prima del 2026.

Inoltre ci sono molte centrali a carbone in costruzione o pianificate per ragioni di sicurezza nazionale degli approvvigionamenti energetici, evidenzia l’agenzia Reuters in un approfondimento sui colloqui Usa-Cina di questi giorni.

Insomma, i temi su cui discutere per allargare la cooperazione tra Cina e Stati Uniti sul versante energetico e climatico sono molti, senza dimenticare gli attriti per i dazi Usa contro il fotovoltaico cinese (imposti dal 2018 con Trump e poi confermati con alterne vicende) e le recenti restrizioni all’import di pannelli provenienti da zone cinesi in cui si presume l’impiego di lavoro forzato.

Vedremo se in questi giorni sarà fatto qualche passo avanti.

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