Cambiamenti climatici: anche con 2 gradi in più siamo fritti?

Secondo una nuova ricerca di un gruppo internazionale di climatologi, anche rispettando il trattato di Parigi, corriamo un forte rischio che il clima vada fuori controllo a causa di una serie di meccanismi naturali di rinforzo del riscaldamento globale. Occorrono azioni molto più decise per decarbonizzare l’economia ed evitare di trasformare la Terra in una “hothouse”.

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Il ruolo di Cassandra nel mondo contemporaneo lo hanno svolto per molti anni i climatologi: per 20 anni hanno cercato di suscitare allarme fra opinione pubblica e politici riguardo ai rischi dell’immissione di gas serra in atmosfera, venendo spesso ignorati, sottovalutati o derisi.

Ora che la scienza climatica inizia ad essere presa sul serio, e 195 paesi hanno firmato a Parigi nel 2015 un accordo per limitare la crescita delle temperature a non più di +2 °C rispetto ai livelli preindustriali, cioè di un altro grado in più rispetto ad oggi, Cassandra dovrebbe essere soddisfatta.

Ma non è così, all’interno della comunità dei climatologi c’è un sottoinsieme di Cassandre al cubo, che avvertono che non solo gli accordi di Parigi sono tanto vaghi da non riuscire probabilmente ad essere efficaci, ma che, persino se funzionassero, far salire le temperature anche solo di un altro grado, potrebbe comunque portare a un disastro globale.

Molti climatologi ritengono che queste posizioni, anche su ipotesi scientifiche plausibili, siano politicamente ed economicamente irrealistiche, e preferiscono appoggiare lo sforzo di Parigi, contando sul fatto che anche con +2 °C o anche qualcosa in più, comunque riusciremo a contenere i danni e avremo il tempo, una volta maturate le tecnologie, di compiere ulteriori sforzi per decarbonizzare completamente l’economia.

Ma se le Cassandre al cubo avessero ragione e questi nostri tiepidi sforzi non fossero sufficienti a evitare un disastro irrimediabile? Non stiamo rischiando qualche euro in una sala scommesse, ma l’intero, unico pianeta in cui noi e i nostri discendenti possiamo vivere.

Viene da temere che accontentarci di quanto stabilito a Parigi sia una mossa catastrofica, dopo aver visto la ricerca appena pubblicata su Pnas da un gruppo internazionale di ricercatori diretti dal climatologo Will Steffen, della Australian National University.

Questo staff di ricercatori ha concluso che anche se riuscissimo a rispettare il limite dei +2 °C, i rischi per l’umanità e la biosfera resterebbero altissimi.

Il punto, sottolineano i ricercatori, è che nel passato non c’è mai stato un momento della storia terrestre in cui le temperature siano state 1 °C sopra al presente e siano rimaste costanti in quel punto: arrivare a quel livello in passato ha voluto dire aumentare ulteriormente le temperature perché si mettevano in azione meccanismi che rinforzavano la crescita delle temperature.

Solo dopo aver toccato temperature molto più alte rispetto ad oggi, meccanismi legati alle correnti marine o alla forma dell’orbita terrestre o alle precipitazioni, riportavano le temperature a livelli più bassi, ma solo nel corso di millenni.

Un esempio particolarmente calzante, perché innescato da cause simili alle attuali, è quanto accaduto al clima intorno a 56 milioni di anni fa, quando un aumento naturale di CO2 in aria, innescò una serie di meccanismi di rinforzo, che aumentarono sia il rilascio di gas serra (fino a 7.000 miliardi di tonnellate di CO2 ulteriori, come dire 200 anni di attuali emissioni umane) che l’aumento delle temperature, fino a portarle a uno spaventoso +12 °C rispetto ad oggi.

Gli effetti? Scioglimento completo dei ghiacci polari, aumento del livello dei mari di decine di metri e un completo sconvolgimento della vita terrestre.

Steffen e colleghi hanno individuato 15 di questi meccanismi di rinforzo, 5 dei quali si sono già messi in moto al livello presente di crescita delle temperature: perdita di ghiaccio estivo in artico, scioglimento dei ghiacci in Antartide Occidentale e Groenlandia, riduzione dei ghiacciai montani, distruzione delle barriere coralline.

Questi fenomeni rinforzano a loro volta la crescita delle temperature, in una sorta di «effetto domino» globale.

Per esempio, perdere ghiaccio artico o montano vuol dire far assorbire più calore da mare e terra, molto più scuri dei ghiacci; immettere acqua dolce dai ghiacciai di Groenlandia e Antartide rallenta le correnti oceaniche, che spostano il calore verso le profondità marine; perdere la barriera corallina, vuol dire perdere un ecosistema dove i polipi del corallo rimuovono enormi quantità di CO2 da aria e acqua, trasformandola in calcare.

Secondo Steffen, anche se bloccassimo la CO2 al livello del +2 °C, questi meccanismi continuerebbero a spingere verso l’alto il termostato terrestre, fino a che, a +3 °C partirà un altro blocco di fenomeni di rinforzo: la rarefazione delle foreste temperate e tropicali, che assorbono CO2, il rallentamento del jet stream che mantiene sull’artico l’aria fredda, la crescita dei deserti, l’alterazione del monsone indiano, delle correnti profonde oceaniche e di fenomeni ciclici meteo come El Nino.

A loro volta questi fenomeni porteranno nel tempo le temperature ancora più in alto, oltre i +5° C di aumento, e allora eccoci tornati alle condizioni di 56 milioni di anni fa: dal permafrost artico e dai fondali oceanici si liberano miliardi di tonnellate di gas serra, fino a quel momento bloccati dal gelo, questo innalzerà ancora la temperatura media terrestre, fino a provocare lo scioglimento dei ghiacci di Antartide e Groenlandia, con la crescita di decine di metri del livello marino e lo sconvolgimento degli ecosistemi terrestri.

Risultato finale? Un pianeta “hothouse”, una serra calda e asciutta, come la definiscono gli autori, incompatibile con la vita di miliardi di esseri umani, la cui civiltà si è evoluta in un clima fresco, stabile e con piogge abbondanti e regolari, da cui dipende la nostra produzione di cibo.

E allora che si può fare per evitarlo?

«Servono azioni collettive, per mantenere il clima agli attuali livelli interglaciali ottimali, senza andare oltre, per il rischio di un’incontrollabile destabilizzazione. Per questo dobbiamo ripensare completamente il modo in cui usiamo la Terra, non più fissandoci su un solo aspetto alla volta, economico, o ambientale o sociale, come fossero separati fra loro, ma valutando per ogni politica o iniziativa economica, anche a scala locale, quali siano le conseguenze sul pianeta».

In sintesi, spiegano i ricercatori dall’Australia, «l’intera economia deve essere rapidamente decarbonizzata; bisogna creare sistemi che assorbano CO2 dall’aria, come nuove foreste, e il comportamento delle persone deve cambiare, trasformando i valori sociali». E questo non lo dicono attivisti no global, o criptocomunisti, ma un gruppo di seri scienziati di prestigiose università.

Purtroppo però, sapendo bene quanto sia improbabile che questi cambiamenti avvengano alla rapidità auspicata da Steffen e colleghi, mentre, anzi, potenti forze politiche ed economiche, basti pensare agli Usa di Trump, remano contro, le disuguaglianze economiche nelle e fra le nazioni restano altissime e continua a imperare nel pensiero economico l’inno alla crescita continua a qualsiasi costo, l’inevitabile retro-pensiero  è “se questi hanno ragione, allora siamo fritti …”.

Per fortuna c’è chi prova a rassicurare. «Non è il caso di abbandonarci alla disperazione, che porta solo alla paralisi nelle azioni», scrive su New Scientist il giornalista scientifico Michael Le Page.

«È vero, si tratta di una ricerca seria, che elenca effetti di rinforzo plausibili, ma che le cose vadano proprio come indicato da Steffen e colleghi è solo un’ipotesi ancora indimostrabile. Inoltre teniamo conto che molti di quegli effetti di rinforzo richiederanno secoli, se non millenni, per dispiegarsi in pieno, abbiamo quindi tempo per agire, creare una nuova economia e sviluppare le tecnologie necessarie a stabilizzare il clima. Certo, dobbiamo cominciare adesso a farlo e con più convinzione di quella vista finora. Ci aspettano tempi duri, per il clima che cambia, ma la Terra “hothouse” non è ancora in vista».

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