Le affermazioni della campagna pubblicitaria Eni sul positivo impatto ambientale connesso all’utilizzo del carburante Eni Diesel+, come le asserite caratteristiche in termini di risparmio dei consumi e di riduzioni delle emissioni gassose, sono pubblicità ingannevole.
Per questo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato una sanzione di 5 milioni di euro alla partecipata pubblica del cane a sei zampe.
“L’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari – spiega l’Antitrust in una nota – derivava in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato EniDiesel+ e la sua componente biodiesel HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), chiamata da Eni “Green Diesel”, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati.”
Nei messaggi (tra cui quelli nelle immagini qui riportate) si utilizzavano in maniera suggestiva la denominazione “Green Diesel”, le qualifiche “componente green” e “componente rinnovabile”, e altri claim di tutela dell’ambiente, quali “aiuta a proteggere l’ambiente. E usandolo lo fai anche tu, grazie a una significativa riduzione delle emissioni”, sebbene il prodotto sia un gasolio per autotrazione che per sua natura è altamente inquinante e non può essere considerato “green”.
Inoltre, alcune delle vantate caratteristiche del prodotto, relative alla riduzione delle emissioni gassose “fino al 40%”, delle emissioni di CO2 del 5% in media, e dei consumi “fino al 4%”, non sono risultate confermate dalle risultanze istruttorie, in quanto parziali (ad esempio, non per tutte le emissioni gassose e non in tutti i casi la riduzione risultava raggiungere il 40% e, per i consumi, la riduzione era solo in minima parte imputabile alla componente HVO denominata da Eni “Green Diesel”) ovvero non adeguatamente contestualizzate (ad esempio non era adeguatamente chiarito che il vanto di una riduzione delle emissioni di CO2 era riferito all’intero ciclo del prodotto).
Infine si induceva a pensare che caratteristiche migliorative del prodotto – da cui erroneamente si lasciava intendere che questo fosse orientato alla protezione dell’ambiente – fossero da attribuire in maniera significativa alla sua componente definita da Eni “Green Diesel”, aspetto anch’esso che non è risultato veritiero.
Nel corso del procedimento la società ENI ha avviato l’interruzione della suddetta campagna stampa e si è impegnata a non utilizzare più, con riferimento a carburanti per autotrazione, la parola “green”.
Sodisfatta la reazione di Legambiente che assieme a Movimento Difesa del Cittadino e da Transport & Environment avevano sollecitato l’azione del Garante. La vicenda era stata denunciata la prima volta in articolo pubblicato a gennaio 2019 dalla rivista “La Nuova Ecologia”, la storica testata di Legambiente.
Il gasolio Eni-Diesel+ viene oggi prodotto presso le raffinerie Eni di Venezia e di Gela grazie all’utilizzo di una componente del 15% di HVO (Hydrotreated Vegetable Oil) e – ricorda Legambiente – nell’impianto italiano si produce questo componente da olio di palma grezzo e dai suoi derivati, come dimostrano i dati ufficiali del GSE (Gestore Servizi Energetici) disponibili sino al 2018 (550 mila tonnellate finite nei serbatoi auto e camion).
La sentenza sul greenwashing di Eni afferma appunto che «è particolarmente ingannevole utilizzare la denominazione “Green Diesel” e le qualifiche “verde” e “rinnovabile” per riferirsi alla componente HVO del prodotto», principalmente a causa delle emissioni associate all’uso di olio di palma. Sostiene, inoltre, che non esiste alcuna giustificazione o calcolo che giustifichi la riduzione del 5% delle emissioni di gas serra.
Le associazioni sollecitano ora il Governo a interrompere gli incentivi all’uso dell’olio di palma nel diesel, come già oltre 57.000 italiani hanno richiesto firmando una petizione su www.change.org/unpienodipalle.
Il seguente documento è riservato agli abbonati a QualEnergia.it PRO:
Prova gratis il servizio per 10 giorni o abbonati subito a QualEnergia.it PRO