Auto elettrica “peggio del diesel”: la bufala di Libero e quel che ci dice la scienza

No, non è vero quel che leggiamo oggi sulla prima pagina del quotidiano: l'auto elettrica non emette "più polveri sottili di un diesel euro 6". Spieghiamo perché e vediamo un po' di studi che fanno chiarezza su quanto inquinano le diverse motorizzazioni.

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Stamattina dopo la consueta rassegna stampa, avendo visto la prima pagina di Libero (immagine sotto), in redazione siamo stati indecisi se intervenire o no.

Il quotidiano diretto da Vittorio Feltri sembra infatti perseguire coscientemente la strategia di “spararle grosse”, forse in mala fede, per avere visibilità: replicare è un po’ collaborare involontariamente a questo gioco che inquina il dibattito pubblico.

D’altra parte non possiamo neanche tacere di fronte ad affermazioni come quelle riportate nel titolo e nel sottotitolo all’intervista al presidente dell’ACI Angelo Sticchi Damiani.

Su QualEnergia.it infatti abbiamo dedicato molto spazio al confronto tra impatto ambientale ed energetico dei veicoli elettrici e di quelli con motorizzazione interna e ci pare giusto dare al lettore qualche riferimento scientifico per capire la questione.

Riproponiamo dunque questa inchiesta, realizzata a marzo da Lorenzo Vallecchi, nella quale si spiega perché è fuorviante e scientificamente sbagliata l’idea riproposta dal presidente di ACI su  Libero secondo cui un’auto elettrica “produce più polveri sottili di un diesel euro 6”:

Prima alcune indispensabili notazioni preliminari. Per misurare sia gli effetti sul clima che quelli sull’ambiente nel suo complesso, da qualche tempo la ricerca ha preso a studiare l’impatto complessivo dell’intero ciclo di vita, o Life Cycle Assesment (LCA), dei diversi tipi di propulsione.

L’analisi del ciclo di vita, però, è una disciplina ancora abbastanza giovane e non esiste un metodo univoco e universalmente accettato di svolgerla.

Tale pluralità di vedute si traduce in stime molto diverse della CO2 prodotta dalle batterie al litio. In base al tipo di rilevamento e alle sostanze chimiche presenti nei diversi tipi di accumulatori, le incidenze variano da un minimo di 40 a un massimo di 350 kg CO2/kWh di capacità della batteria, con una media di 110 kg CO2/kWh. Si tratta di ordini di grandezza molto diversi.

La disparità di stime prodotte in molteplici studi di LCA in base ai diversi metodi di rilevazione e tipi di batterie è ben visibile in quest’altro grafico.

Fra le cause principali di tale molteplicità di risultati ci sono vari fattori:

  • la scelta di un approccio “top-down” piuttosto che “bottom-up” per i calcoli riguardanti la produzione delle batterie. Gli studi top-down (T-D), cioè dall’alto verso il basso, iniziano con i dati di produzione complessivi, ad esempio di un impianto, e procedono poi ad assegnare il consumo specifico di energia ai singoli processi. Con un approccio dal basso verso l’alto (B-U), invece, si misura il consumo di energie di ogni singolo processo e si arriva al totale sommando tutti gli specifici risultati rilevanti. È possibile che i dati top-down siano più completi, ma è probabile che includano il consumo di energia di processi ausiliari estranei alla manifattura della batteria in sé. Un approccio dall’alto verso il basso finisce, insomma, per imputare un consumo energetico ed emissioni più elevate nell’analisi del ciclo di vita.
  • La LCA ha bisogno del LCI, cioè di un Life Cycle Inventory, vale a dire di un inventario certo di processi e componenti di cui stimare l’impatto nel ciclo di vita. Ma l’inventario preciso e l’interazione di processi e componenti di un prodotto tecnologico è spesso un’informazione riservata, o un segreto industriale. Poiché non sempre i ricercatori hanno l’identikit preciso di ciò che stanno cercando di analizzare, a volte sono costretti a comporre un “sarchiapone,” un’entità inesistente nella realtà che riunisce componenti note prese da contesti diversi per cercare di formare una rappresentazione più vicina possibile alla cosa che stanno studiando. Per evitare gli errori di misurazione che tale opacità di informazioni potrebbe generare, molti ricercatori cercano di affidarsi ai non molti LCI dettagliati in circolazione. È chiaro però che tale situazione limita la ricerca e fare stime al di fuori di inventari certi può portare a risultati fuorvianti.
  • Il mix energetico della generazione elettrica preso a riferimento nel soppesare il ciclo di vita dei veicoli elettrici incide moltissimo sul grado di inquinamento rilevato. Maggiore è la generazione elettrica da fonti fossili, maggiore sarà l’inquinamento imputato ai veicoli elettrici, a causa della “sporcizia” dell’elettricità fossile presa dalla rete.
  • Poiché l’incidenza della emissioni di CO2 delle batterie si manifesta soprattutto nella fase della loro produzione e molto meno nella fase di circolazione e dismissione delle auto elettriche, minore è la percorrenza considerata nel ciclo di vita di un auto elettrica, maggiore sarà il peso della CO2 ad essa imputata, visto che le auto elettriche “incorporano” fin da nuove, ancora prima di essere ritirate dal concessionario, una grossa fetta delle emissioni che emetteranno nell’intero ciclo di vita.
  • Pure le condizioni di misurazione delle emissioni nocive dei diversi tipi di auto incidono molto sulle stime dei loro impatti ambientali durante l’uso. Come lo scandalo “diesel-gate” ha fatto emergere, le emissioni delle auto a gasolio misurate in laboratorio possono risultare sottodimensionate del 30-40% rispetto a quelle rilevate in condizioni reali di guida.

Le “novità” circolate negli ultimi mesi sul presunto maggiore impatto dei veicoli elettrici rispetto a quelli diesel di ultima generazione si basano per lo più su studi fatti dall’alto verso il basso.

Nel grafico riportato sopra, le emissioni delle batterie al litio misurate con approccio inverso, cioè dal basso verso l’alto (bottom-up), sono quelle con l’indicazione “B-U” e portano a stime di inquinamento da CO2 delle batterie elettriche spesso 3 o 4 volte inferiori rispetto alle altre.

Il confronto elettrico-diesel menzionato da molte testate giornalistiche, inoltre, è quello fra un auto diesel di nuova generazione, Euro 6, e un’auto elettrica alimentata con il mix-energetico tedesco del 2012 – cioè un mix di vecchia generazione, dove l’energia rinnovabile era ancora poco sviluppata e dove i combustibili fossili producevano più elettricità rispetto agli anni successivi (vedi grafici dell’istituto di ricerca tedesco Fraunhofer): le rinnovabili erano al 25,9% nel 2012 e nel 2018 sono arrivate a coprire il 40,3% del totale.

Poiché i criteri Euro 6 sono entrati in vigore solo nel settembre 2014, per fare un confronto omogeneo e realistico, sarebbe stato meglio paragonare un’auto elettrica alimentata col mix energetico tedesco del 2012 con un’auto diesel circolante nel 2012, che probabilmente sarebbe stata più una Euro 4 o 5. Il confronto riportato da molti media è quindi fuorviante anche perché addossa un peso eccessivo dei combustibili fossili alla generazione elettrica.

Chiarita meglio l’origine della disparità di vedute e della confusione in merito all’impatto dei veicoli elettrici, come detto, nel prossimo articolo cercheremo di spiegare qualcosa sulla situazione recente e le prospettive dei veicoli elettrici e della loro incidenza sia sul surriscaldamento del clima che in termini di impatto ambientale complessivo.

Per cercare di ovviare agli inconvenienti sullo stato della ricerca menzionati nella prima patte dell’articolo, oltre a guardare a singoli studi, ci riferiremo ad alcuni meta-studi, in cui si passano al vaglio decine di altri studi, cercando di distillare le conclusioni più affidabili da una mole massiccia di stime e dati.

Secondo uno di questi meta-studi, l’impatto di un’auto elettrica in termini di CO2 emessa durante il suo ciclo di vita – con percorrenza di 200.000 km, un mix energetico uguale a quello medio europeo nel 2015 e una batteria da 30 kWh – è meno della metà rispetto ad un auto diesel di pari taglia, come evidenziato nella figura sottostante.

Poiché l’intensità fossile e rinnovabile della generazione elettrica giocano un ruolo fondamentale nell’impatto ambientale della mobilità elettrica rispetto a quella tradizionale, è cruciale guardare al mix energetico. Secondo i dati della Commissione Europea, l’impronta energetica di alcune aree del continente nel 2015 è quella disegnata nella mappa.

Anche prendendo come riferimento il mix energetico della Polonia o della Germania – i paesi a maggiore intensità fossile – le emissioni delle auto a batteria (Battery Electric Vehicle o BEV) sono comunque inferiori rispettivamente del 25% e del 45% rispetto al veicolo diesel di riferimento.

Con il mix energetico italiano del 2015, l’impatto di un auto elettrica risulta inferiore del 55% rispetto a quello di un’auto a gasolio.

Anche al livello odierno di 850 gCO2/kWh di emissioni della Cina nella fabbricazione delle batterie al litio, sommandovi le minori emissioni europee generate in fase di uso e dismissione del veicolo nel resto del ciclo di vita, l’impatto climatico di un veicolo elettrico con batterie prodotte in Cina risulta comunque inferiore a quello di un veicolo diesel.

Tale quadro è confermato anche da un altro meta-studio, secondo cui i gas serra misurati nel ciclo di vita delle auto elettriche sono in media inferiori del 50% rispetto a quelli delle auto a combustione interna, anche ipotizzando emissioni nocive relativamente alte nella fase di produzione delle batterie e su una percorrenza di 150.000 km.

Dunque, il beneficio delle auto elettriche rispetto a quelle endotermiche è variato dal 28 al 72%, a seconda della produzione locale di elettricità, come evidenziato nel grafico.

Secondo un meta-studio pubblicato dal Parlamento Europeo nel 2018, per quanto un mix energetico non ancora sufficientemente concentrato sulle energie rinnovabili limiti la sostenibilità incondizionata delle auto elettriche, il bilancio energetico già a fine 2017 fra auto elettriche e a combustione interna era favorevole a quelle alimentate a batterie, come evidenziato nella figura.

Secondo una presentazione dell’Università Norvegese della Scienza e della Tecnologia, pubblicata nel 2017 sul sito di Concawe, un’organizzazione che raggruppa la maggioranza delle società petrolifere europee, fra cui ENI, BP e Total, la LCA comparata fra auto elettriche e endotermiche dei vari segmenti, su varie percorrenze e con il mix elettrico medio europeo del 2015, è quella rappresentata in figura, dove in blu sono indicate le auto elettriche e in grigio le auto a combustione interna.

Servono percorrenze da circa 45.000 a circa 75.000 km da parte delle auto elettriche per scontare lo sbilanciamento iniziale che la fase produttiva ha sull’impatto ambientale della mobilità elettrica.

Dopo quindi un terzo o la metà della loro percorrenza complessiva, per i rimanenti due terzi o metà, le auto elettriche producono vantaggi climatici netti.

Riassumendo, già oggi e considerando il loro intero ciclo di vita, le auto elettriche emettono quantità di CO2 almeno il 25-30% inferiori rispetto ai veicoli con motori a combustione, sulla base di un mix energetico medio europeo e percorrenze di 150.000 km. E tale impatto climatico è destinato a diminuire ancora, via via che il rapporto fra fonti fossili e rinnovabili si sposta a favore delle rinnovabili.

Attualmente, gli studi sugli impatti non solo climatici, ma anche ambientali complessivi dell’intero ciclo di vita della mobilità elettrica e tradizionale sono però ancora pochi.

Secondo una presentazione di Ricerca Sistema Energetico (RSE) del 2017, “i veicoli elettrici hanno prestazioni che vanno nella direzione di ridurre il consumo di risorse e le emissioni di inquinanti atmosferici di interesse per le aree urbane (particolato, ossidanti fotochimici ed acidificazione atmosferica).”

D’altro canto, continua la presentazione, “i veicoli elettrici non sono in grado, allo stato attuale, di essere vincenti per aspetti quali l’eutrofizzazione delle acque dolci o la tossicità umana, per i quali gli impatti legati alla produzione e dismissione della batteria del veicolo giocano un ruolo determinante, per la loro consistenza,” come evidenziato nei grafici con stime al 2030, dove EV sta per veicoli elettrici e ICEV per veicoli a combustione interna.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) nota che ci potrebbe essere una correlazione fra la mobilità elettrica e l’immissione di residui metallici nocivi nelle falde acquifere, a causa delle attività per l’estrazione e la raffinazione di rame, nickel, cobalto e altri minerali.

Lo stesso rapporto sottolinea però che vari studi circa gli impatti sull’ecosistema giungono a conclusioni contrastanti, con stime pro e contro la maggiore incidenza della mobilità elettrica rispetto a quella tradizionale nell’inquinamento, per esempio delle falde di acqua dolce.

Sempre l’Agenzia Internazionale per l’Energia, nell’ambito del suo “Technology Collaboration Programme on Hybrid and Electric Vehicles,” uno studio del 2018, dice che le stime globali dell’impatto medio del ciclo di vita delle auto elettriche o ibride (BEV e PHEV) rispetto a quelle a benzina o diesel sono così riassumibili:

Pur con tutte le precauzioni del caso e qualche limitata eccezione, la IEA indica un contributo positivo dei veicoli a batteria non solo per il clima, ma anche per l’ecosistema nel suo complesso.

Rimane molto da fare per una mobilità migliore, come per esempio:

  • rendere più rinnovabile la generazione elettrica
  • potenziare l’infrastruttura di ricarica
  • potenziare le attività di riciclo delle batterie e lo sviluppo di un’economia circolare
  • diversificare i luoghi di origine delle materie prime per assicurare approvvigionamenti più affidabili
  • sviluppare carburanti più verdi per ambiti come l’aeronautica, la marina mercantile, l’agricoltura e i trasporti pesanti di lunga lena, che ancora non riescono a sfruttare la propulsione elettrica.

In conclusione, però, i vantaggi climatici e “tutto sommato” anche ambientali dei veicoli elettrici rispetto a quelli a combustione interna paiono evidenti già oggi.

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