Agricoltura e fotovoltaico non vanno d’accordo, dicono i puristi. Da noi, in Italia, una regione come il Lazio sembra voglia vietare impianti a terra anche nei terreni agricoli meno pregiati, e molti sono i vincoli imposti dagli enti locali per gli impianti FV a terra. Divieto confermato dal recente decreto Fer 1.
Bisognerebbe far presente però che la preoccupazione di avere oggi in Italia tanti terreni agricoli “deturpati” dal fotovoltaico è quanto meno infondata.
Stiamo in effetti parlando di uno 0,3% della superficie agricola utilizzata (SAU), che è poi inferiore alla superficie agricola totale. Consideriamo anche che l’installazione di impianti FV non impatta sul terreno dal punto di vista della permeabilità, se non per una piccolissima parte (2-3% della struttura) e si tratta comunque di un intervento reversibile.
Eppure, visti gli obiettivi che ci siamo posti al 2030 e che ci porremo al 2050 la questione andrebbe valutata: Certo, con estrema oculatezza, considerando soprattutto i terreni marginali, ma con un approccio meno assolutista. Simile discorso va fatto su scala globale per l’urgenza di uscire dai combustibili fossili.
L’utilizzo di porzioni di alcuni terreni agricoli potrebbe allora essere presa in considerazione, soprattutto se si inizia a valutare, in diversi casi, un connubio tra pannelli solari e agricoltura potrebbe portare benefici sia alla produzione energetica pulita che a quella agricola.
Ad esempio, sappiamo che in genere con il costante aumento delle temperature, tipico di alcune aree secche, peraltro in costante aumento, i pannelli FV perdono in rendimento e le colture richiedono sempre di più acqua.
Ragionando su queste due problematiche un professore associato dell’Università dell’Arizona, Greg Barron-Gafford ha dimostrato che la combinazione di questi due sistemi può dare un vantaggio reciproco, realizzando colture all’ombra di moduli solari.
Ne abbiamo parlato illustrando inizialmente i vantaggi delle serre fotovoltaiche ben fatte e citando soprattutto la sperimentazione del Frauhnofer Institute (vedi anche qui). Abbiamo anche dato un a questo approccio, l’agro-fotovoltaico o “agrivoltaic system”, come lo chiama il professore dell’Arizona. E i suoi progetti pionieristici non si discostano troppo da quelli tedeschi.
“In un sistema agro-fotovoltaico – afferma Barron-Gafford – l’ambiente sotto i pannelli è molto più fresco in estate e rimane più caldo in inverno. Questo non solo riduce i tassi di evaporazione delle acque di irrigazione in estate, ma significa anche che le piante subiscono meno stress”.
Gli agronomi sanno che le colture che crescono con minori stress termici richiedono meno acqua, e poiché non avvizziscono facilmente nelle ore più calde, hanno fotosintesi più lunghe e possono crescere in modo più efficiente.
I ricercatori dell’Università americana hanno testato il calore e l’umidità al di sotto dei moduli per studiare la relazione di raffrescamento tra colture e pannelli (vedi foto in alto).
Quando si ha una radiazione solare notevole come in alcune aree degli Stati Uniti sud occidentali si sceglie di installare i pannelli in un determinato sito con un’elevata densità. Secondo il professor Barron-Gafford, alla stregua di quanto afferma l’istituto di ricerca tedesco, non è necessario modificare questa densità, ma è opportuno alzare a sufficienza i moduli da terra, consentendo alle piante di crescere quasi all’ombra, creando così una sorta di semi-serra.
Le ricerche e le sperimentazioni del team dell’Università dell’Arizona presso le comunità agricole nella zona di Tucson, dimostrano che è possibile ridurre di circa del 75% la luce solare diretta che colpisce le piante: è in particolare la notevole luce diffusa che arriva anche sotto i pannelli a migliorare la crescita della pianta.
L’attuale sperimentazione “agrivoltaica” copre circa 165 metri quadrati, ma l’anno prosismo verranno sviluppati impianti FV più grandi nelle aziende agricole vicine. Nei diversi test gli agricoltori locali stanno collaborando con i ricercatori per selezionare le colture da piantare.
Si è riusciti finora a produrre fagioli, pomodori e peperoni, erbe e spezie, che non sarebbero mai potuti essere ben coltivati in zone così secche.
Buoni sono i risultati anche con verdure a foglia larga come lattughe, bietole e cavoli, che sembrano crescere meglio in questo nuovo habitat. Anzi le piante, in ambienti con scarsa illuminazione tendono a crescere con foglie più grandi per diffondere meglio la clorofilla. Ad esempio, si è notato che le piante di basilico, di cavolo e di bietole hanno foglie più grandi del normale.
L’Università sta avendo una stretta collaborazione sul progetto anche con il National Renewable Energy Laboratory (NREL) del Dipartimento dell’Energia per sviluppare installazioni di questo tipo in altre parti del paese.
Gli esperimenti stanno diventando anche l’occasione per attività sperimentali e didattiche per le scuole dello Stato.
Dal punto di vista dei moduli fotovoltaici le piante sottostanti forniscono dei vantaggi non irrilevanti. Quando le temperature superano i 24 gradi centigradi si ha spesso un rendimento più basso dei pannelli a causa del calore, ma con l’evaporazione dell’acqua creata dalle piante si ottiene una sorta di raffrescamento del modulo che riduce il suo stress termico e ne migliora le prestazioni.
La semplicità della raccolta della coltivazione in questo ambiente misto, costituito da infrastruttura tecnologica e natura, è il fattore fondamentale per gli agricoltori coinvolti. L’adozione di questo sistema è stata accettata quando si è deciso che i pannelli potevano essere sollevati da terra a sufficienza per far accedere i particolari trattori utilizzati nella zona. La parte bassa dei moduli infatti è a 3 metri dal terreno.
Qui c’è però anche uno svantaggio: il maggior costo della struttura di acciaio che serve per alzare i panelli solari.
Barron-Gafford ritiene però che un aumento della resa dei prodotti alimentari e un risparmio di acqua possano compensare un investimento superiore per questa tipologia di installazioni. “La ragione principale per cui tanti produttori agricoli non utilizzano ancora questo sistema, che fa coesistere solare e colture, è nella sua scarsa conoscenza o nell’incertezza sul suo potenziale”, afferma.
La pratica e l’ingegno potranno migliorare le soluzioni dei sistemi agro-fotovoltaici. Ad esempio si sta pensando di utilizzare moduli che possono essere direzionati in posizione verticale, consentendo ai trattori di muoversi liberamente attraverso le file di pannelli senza dover installare i pannelli ad altezze così elevate. Molte soluzioni potrebbero essere sviluppate perfino dagli stessi agricoltori senza attendere nuovi materiali dalle aziende del solare, da cui però si attende una maggiore attenzione progettuale verso questa co-locazione di FV+colture.
Barron-Gafford spiega che a volte “un piccolo cambiamento nella pianificazione può portare ‘tonnellate’ di benefici”. Tonnellate di cibo in più e di CO2 risparmiata.