Acciaio green, il protocollo Gse – Federacciai e le prospettive in Italia

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Obiettivo avere processi totalmente a rinnovabili entro il 2030. La situazione attuale e gli esempi all'estero.

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Nel 2023 l’Italia è risultata il secondo produttore siderurgico in Europa dopo la Germania, con le sue 21 milioni di megatonnellate di acciaio immesse sul mercato

La filiera è composta all’80% di acciaio secondario, prodotto cioè dalla fusione di rottami ferrosi nei forni elettrici, e al 20% di acciaio primario, di cui l’impianto Acciaierie d’Italia (ex Ilva) è l’unico stabilimento.

L’intero sistema si basa però su un processo altamente inquinante, che si realizza tramite il ciclo integrale con altoforno, utilizzando minerale ferroso e carbone come materie prime.

Per supportare la decarbonizzazione della filiera siderurgica italiana, attraverso un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili, ieri, 9 maggio, Federacciai e Gse hanno sottoscritto un protocollo d’intesa che potrebbe segnare un punto di svolta.

Oltre a ridurre l’impronta di carbonio dell’industria, spiega Gse in una nota, l’accordo ha come obiettivi fondamentali l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare e degli asset produttivi delle imprese associate a Federacciai e la promozione di configurazioni di autoconsumo per la condivisione dell’energia rinnovabile.

“Prevista inoltre la sperimentazione di modelli di economia circolare – si legge – che contribuiscano al contenimento dei costi energetici, al perseguimento degli obiettivi indicati nel Pniec e all’attuazione delle misure Pnrr”.

Acciaio green in Italia: una sfida possibile?

L’industria siderurgica italiana, come sostiene il presidente di Federacciai Antonio Gozzi, si è data come obiettivo la produzione di acciaio totalmente “green” entro il 2030.

Attualmente l’impronta di carbonio del settore è elevata, seppur in diminuzione. L’Ispra ha presentato recentemente alcuni dati sull’intensità di emissione di anidride carbonica nell’industria siderurgica in Italia, analizzata con riferimento sia al valore aggiunto del settore sia alla produzione di acciaio. Il grafico in basso fa riferimento al secondo caso, mostrando nel periodo 1990-2020 una riduzione per tonnellata prodotta da 0,99 tCO2/t a 0,39 tCO2/t (-60,4%).

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L’obiettivo è arrivare alla fine del decennio con il 100% dell’acciaio prodotto attraverso la tecnologia Dri, il processo di produzione sostenibile di ferro a riduzione diretta che avviene rimuovendo l’ossigeno contenuto nelle varie forme di minerale di ferro facendolo reagire direttamente con l’H2 producendo ferro e acqua all’interno di un forno a temperature relativamente basse (circa 1000 °C).

Il materiale ottenuto con la Dri viene poi solitamente trasformato in acciaio liquido in forni altamente inquinanti, dato che la tecnologia dei forni elettrici ad arco (EAF) alimentati da fonti rinnovabili è ancora ben lontana dall’essere pienamente implementata.

Infatti un’acciaieria come quella di Taranto, per produrre le 3 milioni di tonnellate di acciaio attuali, “richiederebbe 9 TWh di elettricità verde, cioè quasi un quarto di tutta la produzione elettrica solare italiana del 2023”, come ha spiegato in un’intervista a QualEnergia.it l’ingegnere dei materiali Carlo Mapelli, del Politecnico di Milano. “Con le attuali tecniche di produzione di idrogeno e gli attuali costi, vedo difficile che un acciaio all’idrogeno possa essere economicamente sostenibile”, ha aggiunto.

Secondo le stime di Legambiente, presentate proprio a Taranto lo scorso 17 novembre nel corso del convegno nazionale “L’acciaio oltre il carbone: nuovi orizzonti a tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro”, al 2050 (quindi con un orizzonte temporale ben più ampio) per decarbonizzare la siderurgia (oltre agli altri settorei) dovremmo essere capaci di produrre 600 TWh/anno di elettricità da fonti rinnovabili  (cioè poco meno del doppio del totale dei consumi elettrici attuali).

Gli esempi virtuosi

Federacciai e Gse hanno in Europa quattro gli esempi cui ispirarsi: la Svezia con il modello HYBRIT che grazie a un impianto Dri a idrogeno verde punta a produrre dal 2026 1,3 Mt l’anno di acciaio pulito, per arrivare a 2,7 Mt nel 2030 e la H2 Green Steel che punta invece a produrre 5 Mt di acciaio verde a Boden (avvio della produzione previsto entro la fine del 2025); la Finlandia dove la Blastr Green Steel vuole investire 4 miliardi  di euro per produrre 2,5 milioni di tonnellate (Mt) di acciaio low carbon dal 2026 utilizzando idrogeno verde.

Poi c’è la Germania che punta a produrre 100mila tonnellate l’anno di acciaio tramite idrogeno grigio ottenuto dal gas, per poi passare all’idrogeno verde, tramite un progetto avviato nel 2019 da Arcelor-Mittal, e, infine, l’Austria, che con il progetto H2FUTURE, finanziato dall’Unione europea, ha costruito a Linz quello che attualmente è il più grande impianto pilota per la produzione di idrogeno per l’industria siderurgica.

Con la firma del Protocollo, che avrà una durata di tre anni, Gse e Federacciai si impegnano ad elaborare “analisi settoriali e indicatori di sostenibilità e ad implementare progetti sperimentali per lo sviluppo di soluzioni tecnologiche ad alto profilo scientifico”.

Verrà inoltre avviato un tavolo di confronto permanente e i tecnici di Federacciai saranno informati con eventi formativi delle opportunità che provengono dai meccanismi di incentivazione per le rinnovabili e l’efficienza energetica gestiti dal Gse.

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