Shell annacqua i suoi piani di riduzione delle emissioni

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La multinazionale presenta la sua "Energy Transition Strategy" per il 2024 ridimensionando gli obiettivi sull'intensità delle emissioni di carbonio dell’energia venduta.

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Pur mantenendo l’ambizione di facciata di raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050, la multinazionale energetica Shell ha annacquato ufficialmente il suo obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 per questo decennio.

Nel proprio rapporto “Energy Transition Strategy 2024” presentato lo scorso 14 marzo (link in basso) l’azienda ha annunciato infatti un nuovo piano per ridurre l’intensità delle emissioni di carbonio dell’energia venduta del 15-20% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2021, dal 45% fissato inizialmente.

Questo perché Shell, andando in direzione contraria a quanto da tempo affermano i climatologi, ha intenzione di far crescere il proprio business del gas naturale liquefatto (Gnl) e di mantenere stabile la produzione di petrolio almeno nei prossimi 6 anni.

Agathe Masson, dell’associazione ambientalista Reclaim Finance, ha affermato che questa “scelta retrograda” dimostra ancora una volta che Shell “non ha alcun interesse ad agire per il clima”. L’aggiornamento della strategia, inoltre, non ha fissato un obiettivo di emissioni “scope 3” (chiamate anche “emissioni della catena del valore”, legate ad esempio alle forniture, al trasporto o allo smaltimento dei prodotti) per le sue attività nel gas, che dovrebbero crescere del 50% entro il 2040.

Gli esperti climatici hanno invitato tutte le aziende produttrici di combustibili fossili a ridurre proprio questo genere di emissioni derivanti dall’energia che vendono, tagliando la produzione di petrolio e gas. Gli obiettivi di Shell si riferiscono all’intensità di carbonio dei suoi prodotti, piuttosto che alle emissioni assolute. Ciò significa che la multinazionale potrebbe produrre più gas con un’intensità di emissioni inferiore ma avere comunque come conseguenza l’aumento delle sue emissioni totali complessive.

Dal report annuale di Shell si evince anche come l’amministratore delegato Wael Sawan si sia assicurato nel 2023 una “busta paga” dal valore di quasi 10 milioni di dollari (7,94 milioni di sterline). Il suo predecessore Ben van Beurden è stato pagato 9,7 milioni di sterline nel 2022.

Jonathan Noronha-Gant, un attivista senior per i combustibili fossili presso la Ong Global Witness, ha dichiarato: “La busta paga da 8 milioni di sterline del Ceo della Shell è una pillola amara da ingoiare per milioni di lavoratori che hanno a che fare tutti i giorni con gli alti costi dell’energia. La nostra dipendenza dal petrolio e dal gas della Shell li rende ricchi mentre il resto di noi diventa più povero”.

Un mese fa la multinazionale ha rivelato profitti per oltre 28 miliardi di dollari nel 2023, uno degli anni più redditizi mai registrati, mentre gli attivisti hanno organizzato una protesta davanti alla sede londinese della società.

Lo scorso giugno lo stesso Sawan generò forti proteste da parte degli ambientalisti quando si rimangiò l’obiettivo di ridurre la produzione di petrolio e gas della Shell dell’1-2% all’anno, annunciando invece l’intenzione di tenerla costante almeno fino al 2030.

Per giustificare questa inversione di rotta, Sawan affermò di aver effettivamente raggiunto il target di riduzione nel 2021 dopo la vendita da 9,5 miliardi di dollari della sua partecipazione in un grande progetto nel bacino del Permiano negli Stati Uniti. L’operazione contribuì a ridurre indirettamente la produzione di petrolio in capo a Shell a 1,5 milioni di barili al giorno.

Secondo il Ceo, i nuovi progetti consentirebbero alla multinazionale di “continuare a fornire la sicurezza energetica di cui il mondo ha bisogno garantendo al contempo longevità del flusso di cassa nel futuro”. La società prevede di avviare un numero sufficiente di progetti sui combustibili fossili per aggiungere 500mila barili al giorno alla sua produzione di petrolio e gas entro il 2025.

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