Shale gas, la Francia revoca i permessi di esplorazione

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Il governo di Parigi avrebbe deciso di revocare i permessi di esplorazione per gas da scisti già concessi a Total e a Schuepbach, rivela Le Figaro. Troppi i dubbi sugli impatti ambientali di questa attività estrattiva. Un precedente importante in un'Europa in cui il vuoto legislativo in materia è pressoché totale.

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L’estrazione dello shale gas è ancora troppo rischiosa in quanto a impatti ambientali e la Francia – a differenza di altri paesi – ha deciso di dare uno stop deciso a questa attività. Secondo quanto rivela Le Figaro, Parigi avrebbe deciso di revocare i permessi d’esplorazione assegnati all’americana  Schuepbach e alla francese Total.

La decisione, che dovrebbe essere ufficalizzata in questi giorni, chiude una vicenda in corso da mesi. Una legge del 13 luglio scorso vietava la tecnica del fracking, la fratturazione idraulica, per estrarre lo shale gas. I titolari dei permessi d’esplorazione a settembre hanno fatto pervenire al governo dei rapporti nei quali, come richiesto, fornivano dettagli sulle loro tecniche d’esplorazione.

Nel suo rapporto, Schuepbach aveva sottolineato che non poteva rinunciare al fracking, non essendoci metodi alternativi, il contenuto del rapporto Total invece non è noto, ma evidentemente entrambi non hanno soddisfatto le richieste del Ministero competente.

Per lo sfruttamento dello shale gas una pesante battuta d’arresto, ultimo capitolo di un dibattito molto acceso attorno a questa fonte i cui impatti ambientali secondo molti sono troppo alti (Qualenergia.it, Gas non convenzionale, tra prospettive e criticità, Shale gas, impatti ambientali e riserve mondiali e altri). Prima dell’ultima decisione francese, una bocciatura dello shale gas era arrivata a luglio da un rapporto commissionato dalla Commissione Ambiente del Parlamento europeo di cui abbiamo parlato su queste pagine (Qualenergia.it, Shale gas, il gioco non vale la candela).

Nonostante il bisogno crescente di gas e il declino delle riserve convenzionali, spiega il report, le risorse di gas non convenzionale sono troppo piccole per avere qualsivoglia impatto sostanziale e le esternalità negative troppo alte. Impatti ambientali estesamente ricapitolati nello studio, guardando anche all’esperienza degli Usa, dove lo shale gas ha una storia già di qualche decennio e uno sfuttamento più esteso (50mila pozzi).

C’è innanzitutto la contaminazione delle falde acquifere e dei terreni riscontrata in diversi casi. I fluidi usati per il fracking contengono spesso sostanze pericolose e attualmente gli operatori non sono obbligati a dichiarane la composizione; spesso queste filtrano nel terreno, portando con sé anche metalli pesanti e materiali radioattivi. La contaminazione delle acque – si legge poi – può avvenire anche per fuoriuscite di metano, “in casi estremi portando all’esplosione di edifici residenziali” o di cloruro di potassio, fatto che ha causato in diversi casi salinizzazione dell’acqua potabile nella vicinanza dei pozzi.

Inquietante un altro impatto: la possibilità che le trivellazioni e l’iniezione dei liquidi ad alta pressione provochino eventi sismici. “E’ noto che il fracking idraulico può causare piccoli terremoti di magnitudine 1-3 della scala Richter”, si afferma nel report, scoprendo che in Arkansas negli ultimi anni la frequenza di questi sismi si è moltiplicata per 10 in coincidenza con l’inizio dell’attività estrattiva.

C’è poi la questione emissioni climalteranti. Il metano, come sappiamo ha un potere climalterante molto superiore a quello della CO2, anche se ha un tempo di permanenza in atmosfera minore (un decimo circa): impatta sul clima 33 volte di più considerando un periodo di 100 anni, e fino a 105 volte calcolando gli effetti su un periodo di 20 anni. Proprio le fughe di metano che avvengono nell’estrazione dello shale gas – si chiarisce nel documento – possono portare ad avere un bilancio in termini di emissioni nel ciclo di vita addirittura peggiore di quello del carbone (vedi anche Qualenergia.it, Shale gas, per il clima è peggio del carbone).

Controindicazioni importanti, che si aggiungono al fatto che attorno all’estrazione di gas da scisti in Europa c’è un vuoto legislativo, avverte lo studio. Varie le lacune elencate.  Ad esempio non c’è l’obbligo di calcolare il life cicle assessment, ossia l’impatto del combustibile nel ciclo di vita e non è nemmeno obbligatorio dichiarare se nel processo si usano sostanze pericolose, non è specificata una Best Available Technique per l’estrazione, non è definito come si debba trattare l’acqua di scarico del fracking e molte altre mancanze.

Prima di sfruttare lo shale gas, insomma, bisogna definire delle regole, ma quando queste regole esisteranno, spiega il report, faranno aumentare i costi e i tempi necessari ai progetti di estrazione, diminuendo ulteriormente il potenziale di questa fonte per la sicurezza energetica europea. Insomma una questione spinosa che la Francia sembra esser il primo paese in Europa ad aver deciso di affrontare con decisione.

(credit foto Ed Kosmicki via flickr)

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