Tassiamo la finanza per aiutare economia e clima

Combattere il global warming è una grande opportunità per uscire dalla crisi, ma la diseguaglianza economica sottrae risorse agli investimenti che invece servirebbero. Bisognerebbe tassare le transazioni finanziarie per sostenere i settori low-carbon, dice il Nobel per l'economia Joseph Stiglitz.

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La diseguaglianza economica ostacola il cammino verso l’uscita dalla crisi, così come la riduzione delle emissioni. Bisogna tassare di più i ricchi e la finanza, mentre i governi devono allentare i cordoni della borsa e spendere. Per uscire dalla crisi economica e nel contempo difenderci dai cambiamenti climatici servono infatti investimenti pubblici nei settori low-carbon: una politica keynesiana messa in atto a livello mondiale e incentrata sulla questione climatica. Parola di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, ricercatore del Roosvelt Institute, già consigliere della presidenza Clinton e vice presidente della Banca Mondiale fino al 2000.


Quella del “new deal verde” per combattere assieme recessione e riscaldamento globale è una parola d’ordine ripetuta da diversi politici ed economisti negli ultimi due anni, ma Stiglitz merita di essere ascoltato per le proposte fatte in un suo recente intervento in Sudafrica, in occasione del Global Poverty Summit (qui l’audio integrale). Combattere il cambiamento climatico, ripete Stiglizt, è una grande opportunità in un mondo con una domanda aggregata troppo bassa, ossia con consumi e investimenti inadeguati. Come sappiamo, la dottrina keynesiana insegna che le economie hanno bisogno di maggiori investimenti, pubblici e privati, proprio nelle fasi di recessione. Va bene “anche far scavare buche per poi riempirle”, era l’indicazione provocatoria di Keynes, tradotta in pratica dal new deal di Roosvelt con grandi investimenti pubblici in infrastrutture. Ma nel nostro caso è ovvio che gli investimenti più urgenti e convenienti sono quelli necessari per ridurre le emissioni e contenere i danni del global warming.


Deve essere il pubblico a mettere in moto questi investimenti e  – sottolinea l’economista – bisogna farlo su scala mondiale. Affinché ciò accada servono però risorse e qui arriva la parte più interessante del discorso: è il risparmio ad ostacolare la ripresa. Ad accumulare e a tenere fermo più denaro sono i ricchi: per questo motivo la diseguaglianza rallenta l’uscita dalla crisi. Una diseguaglianza che – dice il premio Nobel – sta aumentando sempre di più: negli Stati Uniti, ad esempio, se nel 1970 l’1% della popolazione più ricco deteneva il 10% della ricchezza, ora ne possiede il 25%. Per quel che riguarda il nostro paese ricordiamo che il coefficiente di Gini (indicatore che riassume la diseguaglianza: tanto più alto, tanto più accentuata) era 29 nel 1991 e oggi pari a 35: secondo l’ultimo dato della Banca d’Italia, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell’intera ricchezza.

La diseguaglianza fa notare Stiglitz ostacola gli investimenti nel low-carbon e questo è tanto più vero nei paesi in via di sviluppo. Una soluzione che discende direttamente da questa constatazione è tassare di più quei soldi che vengono accumulati e non producono ricchezza. Ad esempio, con una tassa sulle transazioni finanziarie, che sposterebbe denaro dal risparmio privato alle casse pubbliche. I paesi ricchi, propone l’economista, dovrebbero anche garantire prestiti agevolati a quelli poveri. Per Stiglitz servirebbero 200 miliardi di dollari all’anno per finanziare la transizione dei paesi in via di sviluppo al low-carbon: denaro che potrebbe essere raccolto con una tassa sulla finanza. Gli investimenti verdi inoltre andrebbero stimolati imponendo a tutti un prezzo sulla CO2, che dovrebbe arrivare in tempi non lunghi a 80 dollari per tonnellata.


Stiamo parlando dunque di una svolta abbastanza decisa e che di certo incontrerebbe vari ostacoli da lui stesso indicati: dagli interessi economici dei grandi emettitori di CO2 al peso economico che un prezzo della CO2 avrebbe per i paesi in via di sviluppo. Ma la strada andrebbe seguita comunque e il mezzo per farlo dovrebbe essere un accordo internazionale che preveda anche delle sanzioni, come tasse sull’import dalle nazioni che non adottino meccanismi per prezzare la CO2.

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