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California-Pechino, le nuove “larghe intese” per le rinnovabili che aggirano Trump

Il governatore Jerry Brown ha siglato alcuni accordi con le autorità cinesi per rafforzare la cooperazione bilaterale nelle tecnologie pulite. Veicoli elettrici, batterie al litio e riduzione delle emissioni al centro del dibattito. Le prime reazioni concrete alla politica isolazionista di Trump.

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Poiché il disastro è sempre incombente – “disaster still looms”  – ha dichiarato il governatore della California Jerry Brown alle agenzie di stampa, riferendosi agli effetti dei cambiamenti climatici – il mondo non può stare a guardare l’uscita USA dagli accordi di Parigi senza reagire.

Proprio la California intende guidare gli Stati americani contrari alla politica pro-fossili di Donald Trump.

Così in questi giorni, Brown ha siglato a Pechino alcuni accordi con le autorità cinesi, in particolare con il ministero per la scienza e la tecnologia, per rafforzare la collaborazione bilaterale nel campo delle fonti rinnovabili (vedi la nota ufficiale dell’ufficio del governatore con tutti i dettagli).

La California, ricordiamo, è la sesta economia mondiale ed è all’avanguardia nella green economy con una serie di obiettivi salva-clima molto ambiziosi, ad esempio produrre il 50% dell’energia elettrica con fonti pulite entro il 2030.

Il governo locale sta promuovendo anche la mobilità a zero emissioni: sempre nel 2030 si prevede che ci saranno circa 4 milioni di vetture elettriche in circolazione (vedi QualEnergia.it).

Questo modello di transizione pone alcuni ostacoli tecnici. Ad esempio occorre integrare pienamente le fonti rinnovabili intermittenti nel sistema elettrico, evitando congestioni e sprechi: ecco perché la California sta installando accumulatori al litio a tempo di record e sta sperimentando soluzioni innovative per la gestione dei grandi parchi fotovoltaici (articolo di QualEnergia.it sui test condotti da First Solar).

Le intese con la Cina prevedono una più stretta cooperazione nelle attività di ricerca e sviluppo in ambito energetico e nei programmi per tagliare le emissioni di CO2, incremento degli investimenti “verdi” e degli scambi commerciali di tecnologie pulite, in particolare veicoli elettrici e batterie al litio per le varie applicazioni di energy storage.

Jerry Brown ha anche detto che “nessuno può stare a bordo campo” nella partita contro il surriscaldamento globale, perché le sfide che ci attendono sono di enorme portata.

Sta emergendo un nuovo fronte trasversale di governi impegnati a ridurre le emissioni inquinanti, che comprende l’Europa, la Cina e quello spaccato di America che si dissocia dalle idee di Donald Trump, anche se ci sono molti segnali preoccupanti che mettono in forse la “tenuta” complessiva del patto climatico, sottoscritto due anni fa nella capitale francese (QualEnergia.it).

La Cina ha criticato a più riprese la sterzata anti ecologista di Trump, motivandola essenzialmente con ragioni economiche, oltre che di tutela ambientale: il succo è che la Cina ambisce a rimanere saldamente al comando dell’economia verde planetaria, dopo aver già sorpassato gli Stati Uniti quanto a investimenti globali nelle rinnovabili (articolo di QualEnergia.it sull’ultima classifica di EY).

La Cina produce circa i due terzi dei moduli fotovoltaici venduti in tutto il mondo e quasi metà delle turbine eoliche; certo, la sproporzione tra economia low carbon e industria fossile resta molto ampia, perché il carbone assicura il 70% del fabbisogno elettrico nazionale, mentre il fotovoltaico si ferma al 2% circa con un milione di addetti nella filiera, contro quattro milioni di minatori.

Tuttavia, Pechino ha anche deciso di non costruire un centinaio di nuove centrali a carbone e di investire 360 miliardi di dollari in progetti green entro la fine del decennio; il traguardo è raggiungere il picco delle emissioni di CO2 nel 2030 per poi calare costantemente.

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