Arriverà in Europa la prima tassa alla frontiera sulle emissioni di CO2: un accordo preliminare è stato raggiunto stamattina, 13 dicembre, tra negoziatori del Parlamento e del Consiglio Ue.
Si tratta del cosiddetto “meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera” o CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), un nuovo pilastro della politica verde europea del pacchetto Fit for 55.
Funzionerà così: chi importa determinati prodotti nella Ue, sarà obbligato ad acquistare i certificati CBAM, in modo da pagare la differenza tra il prezzo della CO2 vigente sul mercato europeo ETS (Emission Trading Scheme) e il prezzo della CO2 vigente nel Paese da cui ha origine il bene importato.
Obiettivo è applicare il principio “chi inquina paga” e spingere tutte le industrie a investire in efficienza energetica e fonti rinnovabili, per ridurre le loro emissioni di anidride carbonica.
Si partirà il 1° ottobre 2023 con una fase transitoria di test, durante la quale ci sarà solamente un obbligo di reporting, cioè di comunicare le quantità di beni importati che rientrano nel nuovo meccanismo, che secondo la Ue rispetta pienamente le regole della WTO (World Trade Organisation).
I prodotti interessati sono: ferro, acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno.
Non è stato però ancora deciso quando terminerà il periodo transitorio e, di conseguenza, quando si pagherà effettivamente la tassa alla frontiera con obbligo di acquistare i certificati CBAM.
Si discuterà su questo, e su altri punti rimasti in sospeso, in un prossimo round di negoziati connessi anche alla riforma del sistema ETS.
Tassa alla frontiera e mercato interno Ue della CO2, infatti, sono strettamente collegati.
Il meccanismo ETS, ricordiamo in breve, è un grande mercato cap & trade per lo scambio di quote di emissione, entro determinati tetti massimi di CO2, che coinvolge migliaia di industrie europee in diversi setttori a elevata intensità energetica, come la produzione di acciaio, carta, vetro.
Sono previste allocazioni gratuite di permessi di emissione alle industrie più esposte alla concorrenza straniera. In pratica, viene regalato un certo numero di quote, per evitare che le imprese europee vadano a produrre in Paesi con minori restrizioni ambientali, dove non pagherebbero (o pagherebbero poco) le loro emissioni di CO2. È la cosiddetta fuga o delocalizzazione del carbonio, carbon leakage.
Queste quote gratuite però dovranno sparire quando entrerà in vigore la tassa alla frontiera.
Altrimenti, le imprese europee avrebbero un doppio vantaggio: non pagherebbero la CO2 sul mercato ETS mentre le aziende straniere concorrenti dovrebbero pagare i certificati CBAM.
Lo scopo invece è proprio quello di far pagare a tutti lo stesso prezzo per le emissioni di CO2 “incorporate” in determinati prodotti, assicurando una competizione equa e promuovendo processi produttivi più sostenibili dal punto di vista ambientale.
Si punta infatti a estendere progressivamente la tassa alla frontiera su tutti i settori oggi coperti dal mercato ETS, entro il 2030.
Vedremo nei prossimi giorni come si chiuderanno i negoziati.