Compie un altro passo avanti la nuova legislazione europea contro il lavoro forzato, che interessa da vicino le importazioni di pannelli fotovoltaici.
Ieri, martedì 5 marzo, Consiglio e Parlamento Ue hanno raggiunto un accordo provvisorio sul regolamento che vieta di immettere sul mercato comunitario prodotti realizzati tramite lo sfruttamento della manodopera, come ad esempio avviene nello Xinjiang cinese.
In quel territorio vive un’ampia comunità di uiguri, etnia di lingua turca e religione musulmana, su cui Pechino esercita una forte repressione culturale e sociale che sfocia in violazioni dei diritti umani, campi di lavoro e detenzioni illegali.
Nello Xinjiang però si produce quasi metà del silicio per il fotovoltaico su scala globale. Da qui la necessità di regolare le importazioni di prodotti FV provenienti dalla regione uigura cinese per sviluppare una filiera industriale più rispettosa delle condizioni dei lavoratori in ogni parte del mondo.
Tornando all’accordo tra Consiglio e Parlamento, evidenzia una nota, si è deciso che Bruxelles dovrà istituire una banca dati con informazioni verificabili e regolarmente aggiornate sui rischi del lavoro forzato nelle diverse aree geografiche, comprese le relazioni delle organizzazioni internazionali (come l’Organizzazione internazionale del lavoro).
La banca dati, si spiega, dovrebbe supportare il lavoro della Commissione e delle autorità nazionali competenti nel valutare possibili violazioni del regolamento secondo una serie di criteri, tra cui: la portata e gravità del presunto lavoro forzato, la quantità o il volume dei prodotti immessi o resi disponibili sul mercato comunitario, le quote delle diverse parti dei prodotti che potrebbero essere realizzate con manodopera sottomessa, i rischi di lavoro forzato nella catena complessiva di approvvigionamento.
La Commissione, inoltre, pubblicherà delle linee guida per gli operatori economici e le autorità competenti, per aiutarli a conformarsi ai requisiti del regolamento, comprese le migliori pratiche per ridurre ed eliminare diversi tipi di lavoro forzato.
In tema di verifiche, sarà la Commissione Ue a condurre le indagini per violazioni al di fuori del territorio europeo; se i rischi di forced labour si trovano nel territorio di uno Stato membro, sarà l’autorità competente di quello Stato membro a investigare.
La decisione finale se vietare, ritirare o smaltire un prodotto realizzato con lavoro forzato, prosegue la nota, sarà presa dall’autorità che ha svolto l’indagine e si applicherà in tutti gli altri Stati membri sulla base del principio del reciproco riconoscimento.
Quando il lavoro forzato riguarda “prodotti critici” le cui forniture sono a rischio per l’Ue, le autorità possono decidere di non imporne lo smaltimento e ordinare invece all’operatore economico di trattenere i prodotti, finché riesca a dimostrare che non ci sia più manodopera forzata nelle sue operazioni o nelle sue catene di approvvigionamento.
L’accordo provvisorio deve ora essere approvato e adottato formalmente da entrambe le istituzioni.