Superbonus e Legge di bilancio 2024: nuove regole, nuove incongruenze

Ritenuta sui bonifici, tassazione anche sul valore degli interventi che contribuiscono alla plusvalenza in caso di rivendita dell’immobile prima di 5 anni e stretta catastale su immobili che hanno usufruito del Superbonus. Le incongruenze, se la bozza non cambierà.

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La ritenuta sui bonifici parlanti per le spese di ristrutturazione ed efficientamento energetico che usufruiscono del Superbonus o di altri bonus edilizi dovrebbe salire dall’attuale 8% all’11%.

Inoltre, nel caso in cui un’immobile che ha beneficiato del Superbonus venga rivenduto prima di cinque anni dalla fine dell’intervento, i costi dei lavori di riqualificazione energetica e sismica rientreranno nel calcolo della plusvalenza, tassabile quindi per intero al 26%.

Sono esclusi da quest’ultima misura gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti a prima casa per la maggior parte dei cinque anni antecedenti alla vendita.

Infine, giro di vite sui controlli catastali per gli immobili che hanno usufruito del Superbonus, con inviti bonari prima e sanzioni poi se non si rivaluta la loro rendita catastale.

Sono questi, in sintesi, i cambiamenti al trattamento del Superbonus contenuti in una bozza ufficiosa della Legge di bilancio 2024, consultabile dal link in fondo a questo articolo.

Da notare che il ministero dell’Economia (MEF) ha diffuso ieri un comunicato in cui precisa (neretti nostri) che “le indiscrezioni giornalistiche” sulla legge di bilancio “pubblicate in questi giorni su diversi temi di grande interesse (ad esempio pensioni, tasse, presunti prelievi da conti correnti e altro) sono frutto di bozze non definitive non diffuse dal MEF e dunque da ritenersi non attendibili“.

Prendendo quindi con beneficio di inventario l’ultima bozza circolata, vediamo cosa comporterebbe in tema di Superbonus.

Ritenuta sui bonifici

La ritenuta applicata sui bonifici per ristrutturazioni che beneficiano di detrazioni fiscali è l’importo trattenuto dalle banche sul pagamento effettuato da chi usufruisce della detrazione e vale come acconto per l’imposta sui redditi.

Tale ritenuta sui bonifici, come accennato, potrebbe aumentare all’11% rispetto all’8% attualmente in vigore, a partire dal 1° aprile del prossimo anno, se il testo attuale dell’Art. 23 della legge sarà confermato.

Ciò vuol dire che l’impresa appaltatrice dei lavori agevolati intascherebbe una somma inferiore a quella precedente, a parità di importi fatturati, vedendo quindi diminuire la liquidità a propria disposizione.

Per prevenire l’aumento della trattenuta, si dovrebbe provare a fare i pagamenti entro il 31 marzo 2024. Questo, però, presenta delle controindicazioni sia pratiche che normative.

Per lavori ancora lontani dall’essere completati, infatti, potrebbe risultare poco prudente da parte del proprietario affrettare i pagamenti, solo per evitare una maggiorazione futura di quattro punti percentuali della trattenuta, che peserà comunque solo sull’impresa.

Anticipare i pagamenti per lavori destinati a durare molti altri mesi sarebbe poi un’opzione praticabile solo per i bonus edilizi diversi dal Superbonus o per il Superbonus usufruito direttamente come detrazione sulla propria Irpef.

Ciò in quanto la normativa sul Superbonus prevede che, nel caso si usufruisca di sconto in fattura o cessione del credito, i bonifici debbano andare di pari passo con gli Stati avanzamento lavori (Sal) effettivi, mentre tale obbligo non sussiste per gli altri bonus.

Costi non deducibili e plusvalenza tassata al 26% con vendita prima di 5 anni

L’Art. 18 della bozza della Legge di bilancio 2024 indica che per i beneficiari del Superbonus che abbiano optato per lo sconto in fattura o la cessione del credito, invece che per la detrazione fiscale diretta, “ai fini della determinazione dei costi inerenti al bene non si tiene conto di quelli relativi agli interventi di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, agevolati nella misura del 110 per cento”.

La bozza intende cioè revocare la deducibilità dei costi dei lavori qualora l’immobile riqualificato energeticamente venga rivenduto prima di cinque anni dalla fine dei lavori. Tali costi restano invece deducibili se si è usufruito del Superbonus direttamente come detrazione Irpef, senza cioè ricorrere a sconti in fattura o cessioni del credito.

La bozza indica poi che, come conseguenza della non deducibilità dei costi nei casi descritti, questi contribuiranno al calcolo della plusvalenza sulla vendita dell’immobile realizzata prima che siano passati cinque anni dagli interventi di riqualificazione energetica, con applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% sull’intera plusvalenza.

Come accennato, tale misura non varrebbe per gli immobili acquisiti per successione e per quelli che siano risultati prima casa per la maggior parte dei cinque anni antecedenti alla vendita.

La misura, se confermata nell’iter di approvazione parlamentare, varrà per le compravendite a partire dal 1° gennaio 2024.

Logica o incoerenza della norma?

La logica della norma è probabilmente quella di impedire ai beneficiari del Superbonus di godere di un doppio o triplo vantaggio: quello della detrazione maggiorata sui lavori e poi quello della deducibilità dei costi dal calcolo della plusvalenza, oltre al prezzo di mercato più alto che presumibilmente il venditore spunterebbe grazie ai lavori effettuati.

In realtà, se questa è la logica, non si vede perché indirizzare la norma solo a chi usufruisce dello sconto in fattura o della cessione del credito. Anche chi beneficia del Superbonus direttamente come detrazione sulle proprie imposte sul reddito gode dello stesso doppio o triplo vantaggio.

La differenza di trattamento potrebbe essere dovuta al fatto che i crediti fiscali goduti direttamente dai contribuenti sono spalmati su quattro anni, invece di essere incassati tutti assieme, o comunque in un lasso di tempo limitato, come avviene invece per chi cede il credito.

In questo scenario, si potrebbe ipotizzare quindi che anche il proprietario che abbia detratto direttamente le spese debba comunque attendere il quinto anno, prima di poter vendere la casa avendo usufruito di tutte le detrazioni fiscali spettanti.

In realtà, in questo particolare contesto, la situazione è diversa e più a favore di chi usufruisce direttamente delle detrazioni, rispetto a chi opta per la cessione del credito o lo sconto in fattura.

L’Art. 16-bis, comma 8, del TUIR dice infatti (neretti nostri) che “in caso di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi… la detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare”, come ribadito anche dall’Agenzia delle entrate in risposta a un interpello.

Quel “salvo diverso accordo delle parti” vuol dire che se il venditore non vuole trasferire le quote di detrazione mancanti all’acquirente, le parti potranno accordarsi in tal senso all’interno dell’atto di compravendita.

In altre parole, chi usufruisce direttamente della detrazione del 110% delle spese di efficientamento dai propri redditi può vendere la casa prima dei cinque anni e mantenere allo stesso tempo il diritto a tutte le detrazioni e deduzioni possibili, godendo del molteplice vantaggio menzionato prima, almeno in linea di principio. Per come è formulata, insomma, più che di logica della norma si potrebbe parlare di incoerenza della norma.

Ragioni del trattamento diverso dei contribuenti

La differenza di trattamento citata sopra è più probabilmente legata al modo di contabilizzare nei bilanci dello Stato i crediti fiscali goduti direttamente dal contribuente rispetto a quelli ceduti a contribuenti terzi.

Per l’esecutivo, la differenza vera è presumibilmente che i crediti fiscali goduti direttamente dai contribuenti e spalmati su quattro anni potrebbero non essere pagati, nel caso in cui la capienza fiscale di un contribuente diminuisse nel corso degli anni.

Al contrario, i benefici fiscali goduti tramite cessione del credito e sconto in fattura sono pagati tutti e subito e vengono contabilizzati tutti e subito anche nel bilancio dello Stato.

La diversità di trattamento dei contribuenti prefigurata nella bozza della Legge di bilancio sembra quindi più legata ai timori sul debito pubblico che non ad uno spirito di equità fiscale verso i contribuenti.

Visto cosa viene preso di mira, pare si tratti dell’ennesima bordata contro il Superbonus e i meccanismi della cessione del credito, che gli ultimi esecutivi si ostinano a non considerare spesa produttiva, nonostante i molti studi che ne testimoniano i benefici per la crescita economica e i bilanci pubblici.

Sulla scorta delle indicazioni di Eurostat, che i governi italiani non hanno ritenuto di dover mettere in discussione, invece che essere considerate degli investimenti, le spese del Superbonus e i meccanismi di cessione del credito sono stati considerati come maggiore debito.

In vero, si tratta più precisamente di mancate entrate, che però non c’erano prima e in larga misura non ci sarebbero mai state senza il Superbonus.

L’esecutivo rimane insomma prigioniero di una lettura distorta e controproducente della realtà, che lo porta anche a usare due pesi e due misure a seconda del contribuente, in modo non equo.

Stretta catastale sugli immobili oggetto di Superbonus

L’Art. 21 della bozza prefigura una stretta catastale per gli immobili che hanno usufruito della super-detrazione.

La bozza di legge prevede infatti (neretti nostri) che “l’Agenzia delle entrate… verifica, sulla base di specifiche liste selettive elaborate con l’utilizzo delle moderne tecnologie di interoperabilità e analisi delle banche dati, se sia stata presentata, ove prevista, la dichiarazione [di aggiornamento dei valori catastali] anche ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati”.

Per gli immobili che incappino nelle verifiche e per i quali non risulti presentata la dichiarazione, l’Agenzia delle entrate può inviare al contribuente un invito bonario a adeguare valori e rendita catastali rispetto alle migliorie apportate col Superbonus, versando quanto dovuto.

Se il contribuente non aggiornerà i valori catastali, l’Agenzia potrà comminare le sanzioni di legge.

Le norme, però, già prevedono la verifica della regolarità catastale e della corrispondenza fra atti e stato di fatto degli immobili, specialmente in caso di una loro vendita, con relativo aggiornamento delle piante catastali e pagamento di eventuali sanzioni per le irregolarità formali.

Il fatto che la proposta Legge di bilancio 2024 prenda specificatamente di mira il Superbonus, sostanzialmente imponendo la variazione delle rendite immobiliari, introduce surrettiziamente quello che la legge delega di riforma fiscale aveva escluso, vale a dire gli interventi sul catasto.

Anche in questo caso, vengono cioè usati due pesi e due misure a seconda che ci sia di mezzo il Superbonus o meno. Sempre che non vengano fatte delle modifiche a questa bozza.

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