Stop sussidi alle fossili: l’accordo alla Cop 26, tra assenti e scappatoie

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Stati Uniti, Canada e all’ultimo minuto anche l’Italia sono fra la ventina di paesi che si sono impegnati a non usare più denaro pubblico per sostenere i combustibili fossili. Ma Cina, Giappone e Germania non hanno aderito e lo stop è in parte aggirabile.

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Porremo fine a nuovi sostegni pubblici diretti al settore energetico internazionale dei combustibili fossili, non abbattuti, entro la fine del 2022, eccetto in circostanze limitate e chiaramente definite che siano coerenti con un limite di riscaldamento di 1,5 °C e con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”.

È questo uno dei tre pilastri dell’impegno annunciato ieri, 4 novembre, alla Cop 26 di Glasgow da 26 paesi e istituzioni multilaterali in rappresentanza di un terzo del Pil mondiale, con cui intendono porre fine a sussidi, garanzie e altri strumenti di supporto alle fonti fossili, per dare invece “priorità al nostro sostegno totale alla transizione verso l’energia pulita”.

Le luci

Il G7 si era già impegnato a smettere di finanziare il carbone e poi il G20 a non sostenere più le centrali elettriche alimentate con questo combustibile, ma l’annuncio di ieri copre anche il finanziamento di petrolio e gas.

Anche se la decisione è “in ritardo di molto tempo“, si tratta comunque di una “svolta storica… da parte di paesi che erano grandi sostenitori della finanza fossile a livello internazionale”, ha detto Iskander Erzini Veneit, esperto di finanza sostenibile del centro studi europeo sul clima E3G.

Se attuata in modo efficace, questa iniziativa potrebbe spostare più di 18 miliardi di dollari all’anno di sussidi pubblici dai combustibili fossili all’energia pulita, e ancora di più se ai firmatari iniziali si aggiungeranno altri paesi nel futuro prossimo, secondo il think tank ambientalista Oil Change.

Una cosa positiva è che poco meno della metà dei firmatari del nuovo impegno, cui si è aggiunta anche l’Italia all’ultimo minuto, sono paesi a basso reddito, come Zambia, Gambia, Sudan del Sud, Mali, Isole Marshall ed Etiopia.

Le ombre

Le stime dei sussidi ambientalmente dannosi variano in base al metodo di calcolo, ma quel che è certo è che si tratti di cifre molto ingenti.

Negli ultimi tre anni, i paesi del G20 hanno investito 188 miliardi di dollari in progetti di petrolio, gas e carbone all’estero, pari a 2,5 volte i loro investimenti in energie rinnovabili, ha fatto notare E3G.

Il G20 ha veicolato quasi 600 miliardi di dollari nel 2020 ai combustibili fossili sotto forma di sussidi e altri sostegni, cui si sono aggiunti altri 104 miliardi di dollari in sussidi che i paesi del G20 hanno versato al comparto dei combustibili fossili per proteggere le imprese dall’impatto della pandemia, secondo uno studio di BloombergNEF, di cui riproduciamo qui sotto un grafico sui sussidi pubblici del G20 alle fonti fossili.

Fra le ombre di questa iniziativa risalta l’assenza di paesi chiave per gli investimenti internazionali, come Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania.

L’impegno riguarda poi solo i nuovi progetti di finanziamento pubblico. Ciò vuol dire che gli investimenti già pianificati non saranno interessati, così come i finanziamenti del settore privato alle società dei combustibili fossili.

Da notare, inoltre, che l’accordo parla di uno stop solo ai sussidi pubblici a favore di fonti fossili “unabated”, cioè prive di sistemi di abbattimento delle emissioni, come quelli di cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs). Ciò vuol dire che i governi potranno continuare a sostenere quei progetti delle fonti fossili per cui è previsto un abbattimento delle emissioni nocive.

Si tratta di una distinzione delicata, che potrebbe concedere delle scappatoie ai produttori di combustibili fossili. Le tecnologie Ccs, infatti, là dove sono state attuate, sono risultate molto poco efficaci ed efficienti, oltre che molto costose, capaci cioè di gestire solo una minima parte delle emissioni a prezzi elevati, come raccontato in precedenti articoli.

Il rischio è che la cattura e lo stoccaggio del carbonio, anche nella sua versione di “cattura diretta dall’aria”, una tecnologia estremamente immatura, siano usati come una foglia di fico per nascondere le reali intenzioni delle major petrolifere e del gas. Siano cioè una carota da mettere davanti ai governi come obiettivo di un futuro ancora lontano, mentre nel frattempo le società dei combustibili fossili continuano a godere di sussidi pubblici il più a lungo possibile, senza abbattimenti di fatto delle emissioni.

Conclusioni

Il mix di grandi inquinatori e paesi a basso reddito che hanno firmato la dichiarazione è positivo, poiché smentisce l’idea ancora diffusa che siano tuttora necessari nuovi investimenti in combustibili fossili per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e la sicurezza energetica.

La reale capacità di questa iniziativa di sostenere una transizione energetica globale giusta e coerente con l’obiettivo di 1,5° C di surriscaldamento massimo dipenderà però dall’evitare scappatoie che permettano ai combustibili fossili di continuare a giocare un ruolo oltre lo strettissimo necessario. E anche dall’allargamento del numero di firmatari agli altri grandi paesi che finora hanno sussidiato le fonti fossili.

Si tratta insomma di un passo avanti, nell’ambito di un accordo che però zoppica ancora molto, mentre invece si dovrebbe correre.

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