Non c’è transizione ecologica senza un taglio dei sussidi alle fossili

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Come ridurre gradualmente i circa 20 mld €/anno che vengono erogati in Italia nella forma di Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) all’industria, grande, media e piccola e alla produzione e al trasporto dell’artigianato e dell’agricoltura.

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La proposta di legge di iniziativa popolare (Pdl) “Almeno il 55%” fu presentata in Cassazione il 14 febbraio 2020, e va rimarcata una qualche soddisfazione per una iniziativa che mai fu così fortunata.

Nel corso dell’anno tutte le massime istituzioni Ue, incluso il Consiglio d’Europa del dicembre 2020, si pronunciarono per il 55% di riduzione dei GHG entro il 2030, evitandoci la raccolta delle firme, problematica con la pandemia che nel frattempo stava dilagando.

Per il conseguimento dell’obiettivo la Pdl prevedeva, tra gli altri punti, la riduzione progressiva dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD). Una proposta oggi in qualche modo oscurata dal Decreto Sostegni-Ter, la cui gravità richiede, pertanto l’ennesima puntualizzazione.

Il Decreto, pubblicato in Gazzetta da alcuni giorni e ora in fase di conversione, prevede di far fronte al caro bollette, causato soprattutto dell’aumento del prezzo del gas, prelevando una parte dei ricavi della vendita dell’energia elettrica da fonti rinnovabili.

Oltre al biasimo degli ambientalisti e degli operatori del settore la proposta cozza rumorosamente contro il buon senso.

Se è vero, oltre ogni dubbio, che il prezzo dell’energia è aumentato principalmente a causa di quello del gas, che negli ultimi anni è quasi quintuplicato (Arera), la risposta ovvia è: “riduciamo i nuovi investimenti sul gas e, in generale, il ricorso al gas”.

È infatti del tutto oscuro come si possa ridurre il prezzo dell’energia mazzolando le rinnovabili, che dal gas non dipendono, mentre è evidente l’effetto di depotenziamento che la nuova norma avrebbe sul loro sviluppo, già rattristato dagli ingorghi che non consentono di dare attuazione alle domande di allaccio alla rete per ben 250 GW di richieste che giacciono presso Terna.

Una parte non banale dell’ingorgo è peraltro determinata dall’incredibile e ottocentesca solerzia di varie sovrintendenze dei beni culturali, molte storicamente assenti invece quando si trattava di difendere il Bel Paese dalle colate di cemento, asfalto e consumo indiscriminato del suolo.

C’è un’altra soluzione, alternativa a quella del Decreto Sostegni-ter?

Logica di transizione ecologica risponderebbe: gli investimenti pubblici per il gas in nome del capacity market siano impiegati, invece, per calmierare il caro bollette anziché umiliare le Fer.

Ohibò, abbiamo detto: transizione ecologica. Mica siamo in Germania! Mica abbiamo a che vedere con Robert Habeck e i suoi esperti! Qui da noi l’omologo del ministro tedesco è Roberto Cingolani, personalità la cui caratura ci pare  inferiore a quella di Habeck, e, che, a quanto dicono i ben informati, si è circondato di un entourage non all’altezza dei compiti da affrontare.

Già da prima che assumesse l’incarico, e poi, con geometrica potenza, ha sviluppato la sua azione di “distrazione di massa”: nucleare III+, IV generazione, “nucleare piccolo e sicuro”, “fusione come nelle stelle”.

Una cortina fumogena di parole perché si parlasse d’altro, neanche ci si pensasse a toccare gli asset dell’Eni! Tutti incentrati sugli idrocarburi, ora e sempre, con i numeri della vergogna: riduzione del 25% dei GHG al 2030, contro il 55% deciso da tutte le sedi UE, e che la Uerivedrà verso l’alto, anche se non il 65% tedesco, assunto anche in forza di una sentenza della Corte costituzionale; 15 GW di fotovoltaico contro i 100 GW della Total o i 50 GW della BP, sue concorrenti. Una vergogna sancita dall’accordo con i sindacati, “gialli”, dell’energia a favore di nucleare e gas. Pronubo Cingolani.

Il 65% di riduzione dei GHG? In Italia la Corte costituzionale ha ben altri pensieri, come il “Sua Eccellenza” del Giusti. E Draghi e Franco neanche ci hanno pensato a rimuovere coloro che sfruttano una rendita di posizione a danno della salute e delle tasche degli italiani, Descalzi e CdA dell’Eni in testa; o, almeno, a imporre il necessario cambiamento di rotta.

In un Parlamento, nel quale il “popolo sovrano” ha immesso col voto una maggioranza di incompetenti e ignoranti, o tutti e due, argomenti come questi devono sembrare poco “politici”,  figuriamoci, si parla di contenuti! Pochissimi parlamentari hanno denunciato quel che non va nel “Sostegni-ter”, il presidente della Commissione Industria Senato, Gianni Girotto, in testa allo sparuto gruppo.

Non sono da meno i grandi media, cartacei e Tv, sempiternamente interessati a mettere in ridicolo i politici, buono specchio dell’impreparazione e gaglioffaggine di buona parte dei giornalisti: solo pettegolezzo, che ha raggiunto l’acme con quella che è stata detta “la corsa al Quirinale”, mai informazione seria e critica motivata sulle politiche energia/clima che devono ridisegnare il nostro drammatico futuro!

Sembrerebbe che su questa “reticenza” pesi il borderò della pubblicità Eni. Dall’alto, il teschiuto signore di Mordor di questa vicenda, Descalzi, guarda benigno il servile corteo.

Tagliare i sussidi alle fossili, ma come?

Allora, si chiude bottega? E no, durante la mobilitazione d’ottobre scorso, protratta nella Sessione di Bilancio, accanto ai già noti argomenti contro il gas – che aveva avuto la scomunica per nuovi investimenti perfino dalla Iea – è stata recuperata la proposta dell’art.4 della Pdl “Almeno il 55%”: ridurre gradualmente, ma significativamente, i circa 20 miliardi/anno che vengono erogati nella forma di Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) all’industria, grande, media e piccola e alla produzione e trasporto dell’artigianato e dell’agricoltura, ancora un sostegno di fatto ai combustibili fossili.

Ne hanno parlato, insieme a me, la Sen. Loredana De Petris e l’On. Rossella Muroni in un seminario organizzato, in persona e in streaming, alla Sapienza dall’Associazione “Sapienza in movimento” il 7 dicembre scorso.

Alle corte, si potrebbero ridurre i SAD di 2 miliardi di euro l’anno, senza mandare a gambe all’aria nessuno. Vediamo come (ricordiamo che il Governo nei giorni scorsi ha annunciato che “presenterà un piano di uscita dai sussidi ambientalmente dannosi, in linea con il pacchetto Fit for 55, entro la metà del 2022″, ndr).

La maggioranza dei SAD è erogata in spese e agevolazioni fiscali nel settore energetico con circa 11 milioni all’anno, una vera giungla.

Il grosso è la tassazione separata tra gasolio e benzina (quasi 5.000 milioni all’anno) e gli sgravi per gli usi degli idrocarburi in agricoltura e aree difficili come le isole (circa 1.000 milioni all’anno). Ma, anche senza toccare per ora questi settori – che andrebbero rivisti, vincolando l’erogazione effettiva a programmi di sostituzione delle energie fossili con le rinnovabili, trasporto incluso, la cui realizzazione sia verificata anno per anno, c’è parecchio da disboscare.

Per esempio, le aliquote fiscali ridotte per la produzione di energia elettrica da fonti fossili, che pesano per 365 milioni di euro all’anno; altri 640 milioni per il rilascio delle quote di emissione assegnate a titolo gratuito, e poi ci sono una miriade di agevolazioni per gli altiforni, le attività estrattive, le navi da crociera, per arrivare fino alle acque minerali imbottigliate nella plastica.

Tutti sussidi che si possono eliminare; e, a raggiungere quota 2 miliardi, i sussidi, indecenti, che tengono ancora in vita da oltre 30 anni il famigerato CIP6: oltre 300 milioni

La Commissione costituita ad hoc in ambito governativo avrebbe dovuto fornire in proposito criteri e indicazioni di fattibilità. Finora, un silenzio opaco che sa molto di “Transizione ecologica”. Alla Cingolani.

Ma la questione dei SAD continuerà a mobilitare e a incombere, nel contesto del dibattito UE sulla tassonomia “verde”, sulla valutazione del PNRR e delle successive tranche che il Governo attende. Come una spada di Damocle, che sta trovando un numero crescente di mani a reggerne il peso.

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