Per Saudi Aramco record assoluto di profitti oil&gas: 161 miliardi di $ nel 2022

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Il colosso petrolifero saudita parla di ambizioni net-zero, ma punta ad espandere continuamente la produzione di idrocarburi.

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Quando si parla di profitti extra delle società dei combustibili fossili, la nuova cifra da ricordare è quella segnata da Saudi Aramco nel 2022: 161 miliardi di dollari, in crescita del 46% rispetto al 2021.

È la somma più alta mai registrata da una compagnia quotata in borsa. Al confronto, quasi impallidiscono i profitti – record anche loro – realizzati da Exxon e Shell, con rispettivamente 56 e 39,9 miliardi di $.

Per arrivare alla cifra monumentale incassata da Saudi Aramco, bisogna sommare agli utili di Exxon e Shell anche quelli realizzati nel 2022 da Chevron (36,5 miliardi) e Bp (27,7). Anzi, per essere precisi, manca ancora un miliardo per pareggiare i conti con Aramco.

Il colosso petrolifero saudita, le cui azioni sono quasi interamente possedute dallo Stato (95% del totale), ha poi dichiarato un dividendo pari a 19,5 miliardi di $ per il quarto trimestre 2022, che verrà distribuito nel primo trimestre 2023.

Intanto la società “continua a rafforzare la sua capacità di produzione di petrolio e gas“, così come le sue attività downstream (distribuzione-vendita di prodotti), “per soddisfare la domanda futura prevista” di combustibili fossili, evidenzia una nota (neretti nostri).

Il boom di profitti si deve ai prezzi elevati del greggio, ai maggiori volumi venduti e al miglioramento dei margini per i prodotti raffinati, spiega Saudi Aramco, precisando che la capital expenditure nel 2022 è cresciuta del 18% in confronto al 2021, superando 37 miliardi di $ e con la prospettiva di arrivare a 45-55 miliardi di $ nel 2023, compresi gli investimenti esterni.

Lo scorso anno, la compagnia saudita ha prodotto in media ogni giorno 13,6 milioni di barili equivalenti di petrolio.

La sua strategia è molto chiara: continuare a estrarre più oro nero.

Per Saudi Aramco, infatti, “petrolio e gas rimarranno essenziali per il prossimo futuro”, quindi la società ha dato via al “più grande programma di spesa in conto capitale della sua storia”, ha commentato Amin H. Nasser, presidente e amministratore delegato.

Il focus degli investimenti non è solo sull’espansione della produzione di petrolio, gas e prodotti chimici, ma anche sulle “nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio con il potenziale per ottenere ulteriori riduzioni delle emissioni, nelle nostre operazioni e per gli utenti finali dei nostri prodotti”.

Sulla carta, Saudi Aramco vanta ambizioni per azzerare le sue emissioni di CO2 e contribuire alla transizione energetica pulita. Di fatto, per ora, non si capisce come possa realisticamente mantenere questi impegni net-zero.

Nel rapporto sui dati finanziari 2022, si legge che Saudi Aramco punta ad azzerare le emissioni Scope 1 e Scope 2 entro il 2050 (sono, rispettivamente, le emissioni dirette e indirette collegate alle attività di una compagnia).

Non si parla quindi delle emissioni più difficili da abbattere, quelle indirette Scope 3 che riguardano tutta la catena del valore upstream e downstream, quindi anche, ad esempio, le emissioni associate agli usi dei prodotti fossili venduti.

I bassi costi di estrazione petrolifera e una produzione a bassa intensità di CO2, rispetto alle altre aziende del settore oil&gas, “facilitano Saudi Aramco a fornire continuamente prodotti a base di idrocarburi durante la transizione energetica per il prossimo futuro”, sottolinea il rapporto.

Saudi Aramco punta a ridurre le emissioni “migliorando la sua efficienza energetica e la gestione del flaring e delle emissioni di metano” e investendo “in progetti e certificati di energia rinnovabile e cattura e stoccaggio del carbonio“.

Previsto anche lo sviluppo di un programma di compensazione ambientale, che include la piantagione di mangrovie e acquisti di crediti di carbonio attraverso mercati volontari.

Insomma, di vere e proprie energie rinnovabili si parla davvero poco, per usare un eufemismo.

Secondo Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, “è scioccante per un’azienda realizzare un profitto di oltre 161 miliardi di dollari in un solo anno attraverso la vendita di combustibili fossili, il singolo fattore principale della crisi climatica”.

Senza dimenticare che questi profitti record sono arrivati mentre milioni di persone nel mondo erano in difficoltà a causa della crisi energetica e degli alti prezzi di gas, elettricità e carburanti.

Per Amnesty bisognerebbe usare questi soldi extra per finanziare una transizione equa e incentrata sulle fonti pulite, ma sembra davvero difficile pensare a un’inversione di tendenza da parte dei giganti fossili.

I 161 miliardi di profitti di Aramco danno la misura di quanto sia diffuso il greenwashing delle aziende petrolifere, con un divario enorme tra presunti impegni climatici e la realtà del business-as-usual per avere sempre più idrocarburi.

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