Salvini rilancia con il nucleare “tra 10 anni”, ma l’atomo è una scelta perdente

CATEGORIE:

Le dichiarazioni del vicepremier al Forum Ambrosetti di Cernobbio, mentre il ministro Pichetto Fratin convoca la prima Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. Realizzare nuovi impianti è costoso e richiede tempi lunghissimi, inconciliabili con gli obiettivi climatici.

ADV
image_pdfimage_print

Riaprire le porte al nucleare in Italia. Il governo Meloni non perde occasione per rilanciare questa idea.

Al Forum Ambrosetti che si è chiuso domenica 3 settembre, a Cernobbio, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, si è detto convinto che l’attuale esecutivo (ipotizzando quindi che il centro destra continui a governare) potrà inaugurare “la prima produzione di energia da nucleare nell’arco di dieci anni”.

“Conto che entro il 2023 questo governo abbia la forza di spiegare agli italiani perché, nel nome della neutralità tecnologica, non possiamo dire di no a nessuna fonte energetica”, ha aggiunto Salvini, riferendosi appunto alla nuova prospettiva di puntare sull’atomo nel nostro Paese.

Intanto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sempre a Cernobbio ha annunciato la convocazione, per il prossimo 21 settembre, della prima riunione presso il ministero della “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”.

La piattaforma servirà a coordinare, con il supporto di Enea e Rse, “tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e radioprotezione, rifiuti radioattivi, sotto tutti i profili. In particolare, si punta allo sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale e con elevati standard di sicurezza e sostenibilità”.

Salvini e Pichetto pensano soprattutto al possibile sviluppo di piccoli reattori modulari (SMR: Small modular reactors), una soluzione che non sembra affatto sostenibile dal punto di vista tecnico-economico, stando a diversi recenti studi sulle prospettive di mercato per questa tecnologia.

I reattori modulari sono ancora lontani dalle eventuali applicazioni commerciali e hanno diversi problemi, legati soprattutto ai costi, agli approvvigionamenti di combustibile ad alto arricchimento di uranio e alle diseconomie di scala (Rinascita nucleare, alimentata da ideologia e soldi facili (per alcuni).

A rimarcare i punti deboli e le difficoltà del nucleare è un recente commento pubblicato su Joule a firma di Luke Haywood (European Environmental Bureau), Marion Leroutier (Stockholm School of Economics) e Robert Pietzcker (Potsdam Institute for Climate Impact Research).

Nell’articolo, intitolato “Why investing in new nuclear plants is bad for the climate”, gli autori spiegano che investire in nuovi impianti nucleari è una pessima idea a causa dei costi elevati e dei lunghi tempi di realizzazione, tanto che, secondo gli autori, è “praticamente impossibile” affidarsi all’atomo per centrare gli obiettivi climatici europei al 2030.

La preferenza dovrebbe invece andare alle tecnologie più economiche e rapide da implementare: “le fonti rinnovabili battono il nucleare, sia sui costi che sulla velocità”. Mentre ogni euro investito in nuove centrali atomiche “ritarda la decarbonizzazione” rispetto agli investimenti nelle rinnovabili.

La narrativa pro-nucleare di Salvini e Pichetto, al contrario, continua a dipingere l’atomo come una fonte di energia pulita, a basso costo, indispensabile per raggiungere l’azzeramento delle emissioni di CO2.

Ma sembra più che altro un tentativo di assecondare le tante lobby industriali che ruotano intorno all’atomo e agli stessi attori dei combustibili fossili, in modo da prolungare il più possibile un sistema elettrico incentrato sulle centrali a gas, con la prospettiva di un nucleare “tra 10 anni” che suona irrealistico e demagogico.

Tanto per fare dei nomi già lo scorso marzo Edison, Edf e Ansaldo avevano firmato una lettera di intenti per favorire la diffusione di piccoli reattori modulari in Europa e Forza Italia aveva presentato una mozione pro-atomo alla Camera (Quel “nuovo nucleare” che torna ad attirare l’Italia, tra rischi e incognite).

Una chiave di lettura in tal senso, anche se più generale e riferita all’intero contesto europeo, la dava l’olandese Jan Haverkamp, esperto di politiche energetiche, in un documento pubblicato a giugno dalla fondazione tedesca Heinrich-Böll (affiliata ai Verdi), dal titolo Diversion from urgent climate action”.

“Anche l’opportunismo politico gioca un ruolo importante”, secondo Haverkamp, nel seguire le pressioni della lobby nucleare su Bruxelles e sui governi nazionali. “I gruppi politici che fino a poco tempo fa, e in alcuni casi ancora adesso, negano l’urgenza del cambiamento climatico, spingono l’energia nucleare come la soluzione miracolosa per il clima, al fine di distogliere l’attenzione dal fatto che non vogliono che sia intrapresa un’azione urgente sul clima”.

Nell’articolo di Haywood, Leroutier e Pietzcker si citano poi gli extra costi faraonici dei due reattori EPR in Francia (Flamanville) e Finlandia (Olkiluoto).

Il primo doveva entrare in funzione nel 2012 al costo di 3,5 miliardi di euro ed è ancora in costruzione con un budget lievitato a oltre 12 miliardi. Il secondo ha iniziato a produrre elettricità quest’anno con un costo complessivo intorno a 11 miliardi di euro, mentre il progetto iniziale stimava 3 miliardi e l’inizio dell’attività di generazione nel 2009.

Secondo gli autori, la produzione variabile delle energie rinnovabili può essere bilanciata con la domanda grazie anche a diverse opzioni di stoccaggio e flessibilità (batterie, pompaggi, idrogeno), senza dover ricorrere a massicci investimenti in grandi centrali nucleari.

Poi c’è “il problema irrisolto dell’industria nucleare”, quello delle scorie radioattive e di come trattarle, oltre ai rischi insiti di una tecnologia complessa da gestire.

I tre esperti di politiche energetiche affermano che, “la costruzione di centrali nucleari richiede molti anni di pianificazione e costruzione, è molto costosa, mentre la crisi climatica richiede urgenza e investimenti così ingenti che l’efficienza dei costi è e sarà di fondamentale importanza”.

Pertanto, “fare affidamento sulle nuove costruzioni nucleari per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Ue è, di fatto, impossibile. Anche in base a ipotesi molto ottimistiche, le eventuali nuove centrali nucleari in Francia inizieranno a fornire elettricità a basse emissioni solo nel 2035”.

Ma anticipiamo già i commenti: i nuclearisti diranno che è un approccio ideologico. Una scusa sempre buona quando le proposte non reggono alla prova dei fatti.

ADV
×