Royalties e trivelle, ambientalisti contro la marcia indietro del Governo

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Greenpeace, WWF e Legambiente chiedono di eliminare definitivamente l’esenzione, applicata su circa un quarto della produzione nazionale.

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Greenpeace, WWF e Legambiente denunciano il passo indietro da parte del Governo, rispetto alle bozze circolate, sulla norma inserita nel disegno di bilancio 2020 in materia di royalties relative alle estrazioni di gas e petrolio.

Nel testo della Manovra 2020 trasmesso al Senato non c’è, infatti, nessuna abolizione delle franchigie, regalo che dal 1996 viene fatto ai petrolieri, ma solo una “non applicazione” temporanea delle norme del Decreto legislativo 625/1996.

L’annunciata abolizione – si legge in una nota congiunta – è stata sostituita da una misera sospensione per tre anni. Le organizzazioni chiedono inoltre che si garantisca la piena tutela del Golfo di Venezia da qualsiasi attività estrattiva, anche “sperimentale”.

Una volta scaduti i tre anni, le compagnie fossili dunque potranno riprendere a estrarre sotto le soglie senza versare un centesimo. Mentre i drammatici eventi di questi giorni che hanno messo a rischio la città lagunare impongono al più presto una modifica normativa che smetta di favorire i petrolieri e riproponga il divieto rigoroso di qualsiasi trivellazione nel Golfo di Venezia.

“Se il governo vuole seriamente voltare pagina e abbandonare le fonti fossili deve cancellare per sempre, nella Manovra 2020, le esenzioni dal pagamento delle aliquote dovute allo Stato per le produzioni di petrolio e gas”, dichiarano le associazioni. “E non dobbiamo fermarci qui.  In Italia si paga troppo poco: l’adeguamento dei canoni di concessione non è ancora stato attuato, e vanno alzate le royalties. Chiediamo dunque al governo di procedere davvero sulla strada della decarbonizzazione, in coerenza con il Green Deal, assicurando un futuro senza trivelle al nostro Paese”.

In Italia il decreto legislativo del 1996 sulle royalties prevede l’esenzione dal pagamento delle aliquote sui primi 25 milioni di metri cubi di gas e 20 mila tonnellate di petrolio prodotti in terraferma e i primi 80 milioni di metri cubi di gas e 50 mila tonnellate di petrolio prodotti in mare. Secondo il testo della legge di bilancio arrivato al Senato, l’esenzione del pagamento dell’aliquota verrà sospesa per tre anni e i petrolieri dovranno quindi pagare i contributi solo per 2020, 2021 e 2022. Dopo di che tutto tornerà come prima.

La franchigia, pensata per favorire i piccoli player, ha finito poi per avvantaggiare le grandi compagnie come ENI – le estrazioni offshore, ad esempio, sono per circa l’85 per cento in capo al Cane a sei zampe – che per anni hanno approfittato per estrarre le scarse risorse dei propri pozzi in quantità sotto la soglia, diluendole nel tempo in modo da non pagarci le tasse.

Tra il 2017 e i primi mesi del 2018 la franchigia è stata applicata al 27 per cento della produzione italiana di gas offshore e al 22 per cento circa della produzione offshore di petrolio.

Dunque, per un quarto della produzione di idrocarburi in mare le compagnie non hanno versato un centesimo nelle casse dello Stato. La proposta di abolire le esenzioni dal pagamento delle royalties è stata messa sul tavolo da Greenpeace, Legambiente e WWF sin dai tempi del cosiddetto “Referendum trivelle”.

Il rischio di nuovi progetti di estrazione minaccia addirittura il Golfo di Venezia, città drammaticamente interessata proprio in queste ore dagli effetti devastanti dell’emergenza climatica in corso. Nonostante dal 2008 vi sia un divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del Golfo di Venezia, a causa del grave rischio di subsidenza – che prevede il vaglio del Ministero dell’Ambiente su eventuali nuovi studi presentati dalle compagnie – tale norma è stata aggirata nel 2014 da una modifica del Decreto Sblocca Italia che consente di avviare “progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti” nell’area off-limits, sulla base di un’autorizzazione concessa dal Ministero dello Sviluppo economico, seppur di concerto con il Ministero dell’Ambiente.

Per le organizzazioni ambientaliste, che da tempo denunciano anche questa vicenda, l’abolizione di questa norma sarebbe un altro segnale importante, da parte del governo, verso un futuro senza fossili.

Greenpeace, Legambiente e WWF da quasi un mese attendono risposte dal ministro Patuanelli, a cui hanno inviato una lettera aperta per chiedere quali siano gli atti concreti che il governo intende mettere in atto per fermare le trivellazioni e concludono: “La prossima estate scadrà la moratoria decisa dal primo governo Conte, cosa intende fare prima di allora l’attuale esecutivo per fermare veramente le trivellazioni?”, si chiedono le associazioni. “È ora di smetterla di favorire chi sta causando i cambiamenti climatici, è il momento di spingere sulle vere soluzioni come le fonti rinnovabili, cambiando prima di tutto il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima che vede un ricorso massivo a fonti fossili come il gas, parte del problema e non certo della soluzione”, concludono.

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